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Pier Paolo Vergerio, dopo essersi laureato in legge all'Università di Padova ed essere stato al servizio della Repubblica di Venezia come procuratore e giudice, nel 1553 fu nominato nunzio papale presso Ferdinando, re dei Romani, il quale non fu mai certo che Vergerio non fosse implicato in qualche segreta manovra a favore di Venezia. Durante la sua seconda Nunziatura, quando, come rappresentante di Paolo III, si adoperava per la convocazione del concilio ecumenico, molti dei principi tedeschi incontrati da Vergerio dubitarono della sincerità delle intenzioni del Papa. Alla fine del viaggio i suoi sforzi per accelerare la convocazione del concilio gli attirarono a Roma numerose antipatie. Nominato vescovo di Capodistria nel 1536, irritò Paolo III e si alienò le simpatie di numerosi cardinali influenti, quando cercò di far annullare una pensione da pagare ad un favorito del Papa, che era tratta dalle rendite della sua diocesi. Alle riunioni per i negoziati di Worms e Ratisbona nel 1540-41, la sua attività di inviato ufficioso di Francesco I accrebbe i sospetti sui suoi metodi e movimenti. Ritornato nella sua diocesi nel 1541, Vergerio cercò di attuare una decisa riforma. I suoi sforzi provocarono una forte opposizione da parte dei religiosi locali e di alcuni laici influenti, che presto lo accusarono di eresia: con suo disappunto non riuscì ad essere ammesso al concilio di Trento. Quando, nel 1549, fu costretto dalla sua coscienza a rompere con la Chiesa e a lasciare l'Italia, divenne "persona non grata" per i suoi ex colleghi ecclesiastici, così come taluni suoi sfortunati tentativi gli valsero in breve l'ostilità della maggioranza dei suoi amici protestanti, sia italiani sia nordici. Il saggio della studiosa americana, che colloca la personalità di Pier Paolo Vergerio nel contesto italiano, ed in particolare nei suoi rapporti con la Repubblica di Venezia, colma una lacuna storiografica, contribuendo a migliorare la conoscenza della cultura italiana all'epoca della Riforma.
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