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un buon testo, pur se prevalentemente ricognitivo, si lascia apprezzare per la ricostruzione puntuale della vita e delle opere di una mente geniale, che come pochi incarnò l'uomo del Rinascimento, sospeso tra cielo e terra, a mezz'aria tra angeli e demoni, vorace di letture, con un "appetitum scientiae" incolmabile, questo fu Pico nella sua breve ed intellettualmente intensa vita e per questo continuiamo a studiarlo ammirandone l'ingegno
Pico della Mirandola mori giovanissimo, a 32 anni. Fu amico di Poliziano e di Ficino. I tre furono ritratti da Cosimo Rosselli in un affresco che si trova a Firenze nella Cappella del Miracolo posta nella chiesa di Sant'Ambrogio. Fu amico di Lorenzo il Magnifico, conobbe il Savonarola. Padroneggiava la lingua ebraica, l'arabo, il caldaico, oltre al greco e al latino. Cercò di conciliare la sapienza antica della Cabbala, di Aristotele, di Platone, di Ermete Trismegisto, Averroè, con la sapienza cristiana. A tal fine scrisse novecento tesi e tredici di queste furono condannate da Papa Innocenzo VIII e nel 1487 fu accusato di eresia. Provvidenziale fu l'intervento del Magnifico e nel 1493 ebbe l'assoluzione di Papa Alessandro VI Borgia. A Pico della Mirandola si deve il confronto tra l'uomo e il camaleonte, nel senso che l'uomo non possiede alcuna qualità specifica, ma possiede il seme di ogni qualità. Al momento della creazione dell'uomo il sommo Padre disse: "Noi non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale -né immortale, Affinché tu fossi fondatore e plasmatore di te stesso, affinché tu possa collocarti in quella forma che preferirai. Potrai degenerare verso i brutti gradi inferiori, potrai rigenerarti nei divini gradi superiori, secondo la decisione del tuo animo...Chi non ammira questo uomo camaleonte".
"Che cosa pretendi? Non ho mica la memoria di Pico della Mirandola!" Se anche voi - come me sino a poco fa - non ricordate altro di questo personaggio oltre alla sua proverbiale memoria, vi consiglio la lettura di questo gradevole volumetto. Nelle sue poco più di cento pagine - non molte, ma curate e di piacevole lettura - il libro ricostruisce in ordine cronologico la vita, le opere e il pensiero di uno dei principali esponenti dell'Umanesimo italiano del Quattrocento, la cui breve esistenza si svolse tra il 1463 e il 1494. L'autrice, dedicando una particolare attenzione alla ricostruzione delle letture e della rete amicale del filosofo e umanista, ci introduce nel mondo intellettuale e politico degli ultimi decenni del XV secolo, senza mai perdere di vista l'obiettivo primario del libro, ovvero il tentativo di tracciare un quadro preciso dell'evoluzione del pensiero dell'autore. Tra le tante caratteristiche di Giovanni Pico della Mirandola ben delineate nell'opera, due mi hanno colpito più di altre: da un lato la sua fame di libri, ciò che lo condusse a letture talvolta poco organiche, ma sempre nate da una voracità intellettuale mai sazia; dall'altro il desiderio - sicuramente utopistico, ma nobile e volonteroso - di tentare di conciliare tra loro platonismo e aristotelismo, ovvero le due principali correnti di pensiero ereditate dalla classicità, e, a un livello ancora più alto, pensiero classico, ebraico e cristiano, nella ricerca di un'unica chiave di lettura della realtà. Il libro è, in fondo, la struggente storia di un giovane geniale e sognatore e del suo scontro con il mondo degli adulti e del realismo politico, tra gli estremi della disillusione e della volontà di autoaffermazione. "Durante questo nostro esilio dalla patria vera e nella notte buia di questa vita facciamo moltissimo uso della parte di noi che piega verso il senso (...) mentre quando risplenderà il giorno della vita futura (...) intenderemo con la nostra parte più nobile." (p. 94)
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