Se può non stupire che la tortura sia tuttora perpetrata come abuso, sorprende invece constatare che nell’ultimo ventennio si sia riaperto – in particolare in seguito agli eventi dell’11 settembre 2001 – il dibattito giuridico e politico riguardo ad una sua ipotetica legalizzazione anche nel contesto dello Stato di diritto. A fronte di un orizzonte normativo chiaro, perché il dibattito si riapre? Perché, dunque, la tortura “ritorna in vita”? è possibile considerarne anche solo in ipotesi la legalizzazione? Per rispondere a tali interrogativi si rende necessaria un’analisi della struttura della tortura al di là delle diverse finalità per cui possa essere praticata, e nel suo rapporto con i presupposti essenziali della giuridicità. Tale compito è svolto nel presente volume attraverso alcuni percorsi nel diritto (a livello internazionale, storico-giuridico e del diritto penale) considerati in chiave giusfilosofica, e sviluppando un’analisi fenomenologico-strutturale della tortura, secondo il metodo dell’ontofenomenologia giuridica di Sergio Cotta. Sul piano interpretativo è illustrato il significato della tortura in relazione all’uomo e al diritto in quanto attività umana, mostrando come la tortura sia strutturalmente diretta contro l’esser se stesso della vittima, ovvero contro l’identità vitale e personale della stessa e le sue potenzialità. Contestualmente, la tortura si rivela un attacco contro la coesistenza sociale, poiché contraddice i caratteri fondamentali del diritto, in particolare regolarità, universalità, simmetria e reciprocabilità, che tutelano l’uguaglianza e la parità ontologica. Infine, il volume mostra come il divieto di tortura quale “assoluto giuridico” eserciti una funzione vitale per il diritto e per la sua sopravvivenza.
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