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Una trazzera. Esclusi siciliani e calabresi nessuno sapeva che cosa fosse. Ma poi d'un tratto questa parola riempì le cronache dei giornali. Accadeva cinquant'anni fa e della trazzera si parlava in un'aula del tribunale di Palermo. Era la fine di marzo anno 1956. Si stava svolgendo un processo destinato a far storia. Imputato Danilo Dolci insieme ad altri sei suoi collaboratori e amici. I capi d'imputazione erano tre: resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale; istigazione a disobbedire alle leggi; invasione di terreni. Accuse per le quali erano stati arrestati la mattina del 2 febbraio durante lo sciopero a rovescio: uno sciopero cioè in cui si lavorava. All'iniziativa di Dolci parteciparono un migliaio di persone fra disoccupati contadini e pescatori di Trappeto e Partinico in quell'angolo di Sicilia fra i più depressi d'Italia. Qui mancava tutto: acqua corrente lavoro educazione. Le uniche presenze la mafia e il banditismo: siamo a pochi chilometri da Monte Lepre all'interno del golfo di Castellamare in quei posti nei quali operano fino a qualche anno prima Salvatore Giuliano e il banditismo separatista contro il movimento contadino di occupazione delle terre.
Quella mattina si ritrovarono muniti di vanghe e picconi a sistemare appunto la trazzera: poco più di un sentiero di campagna che collegava Partinico al mare completamente ricoperta di fango e inutilizzabile. Scopo di Dolci e dei suoi era quello di richiamare l'attenzione su questa terra dimenticata e dimostrare che anche qui potevano esserci possibilità di lavoro. Alla violenza e alle armi in quella terra di inedia l'unica arma che Dolci propone è il lavoro. E visto che qui lavoro non viene offerto sono allora gli stessi lavoratori a organizzarsi autonomamente. La manifestazione era stata accuratamente preparata: l'intellettualità italiana e tutta la stampa erano stati informati. Così come le forze di polizia e carabinieri. Che quella mattina sin dall'alba aspettavano i dimostranti. Alle prime picconate gli agenti intimarono di smettere. Finì con gli arresti ma senza alcuna violenza.
Al processo poi successe di tutto. Fu quello che oggi chiameremmo un processo mediatico – forse uno dei primi del nostro paese. Accese i riflettori e in qualche modo rese celebre l'uomo che aveva guidato la rivolta e che stava dando vita a un'avventura politica e umana straordinaria in quest'angolo dimenticato della Sicilia. Si scomodarono in molti. A testimoniare la passione civile e l'impegno di Dolci sfilarono personaggi eccellenti: da Elio Vittorini a Norberto Bobbio Carlo Levi e Lucio Lombardo Radice Vittorio Gorresio e Valerio Volpini Alberto Carocci Maria Fermi Sacchetti (sorella del celebre fisico) e Gigliola Venturi. Anche la difesa era illustre: un giovanissimo Nino Sorgi insieme ad Achille Battaglia e Piero Calamandrei. A fronte di tanto clamore e di arringhe che demolirono le accuse la corte decise una modesta condanna per invasione di terreni (fra l'altro già scontata in attesa del processo) e lasciò cadere gli altri capi d'imputazione.
L'intervento di Dolci le testimonianze e le arringhe diventarono subito un libro che Einaudi pubblicò nello stesso anno con il titolo Processo all'art. 4. Ora a distanza di cinquant'anni viene riproposto (in una versione ridotta ma arricchito di altri documenti) con la presentazione di Goffredo Fofi che allora giovanissimo prese parte alle iniziative di Dolci e alla giornata di lotta della trazzera – ricavandone un paio di notti in cella e un foglio di via. Il libro sembra rispondere a quanto Calamandrei dice alla corte nella sua arringa finale: Bisogna cercare di immaginare come questa vicenda apparirà di qui a cinquanta o a cento anni. Come giustamente sottolinea Fofi riproporre oggi tale esperienza significa invitare a pensare modi di azione concreta nonviolenta in una realtà italiana ancora scomposta.
Ma non solo. C'è forse qualcosa in più nell'avventura di Danilo Dolci che possiamo oggi rivalutare. Era un personaggio fantasioso pieno di idee e risorse con un carattere non sempre facile spesso irruente e autoritario. Per molti una presenza ingombrante. Ma sapeva immaginare la realtà. E per farlo aveva bisogno di essere utopista. Non per questo non otteneva risultati: con la diga sullo Jato portò l'utopia a centosettantamila persone: l'acqua o meglio quella che lui chiamava l'acqua democratica. Oggi il pensiero sembra aver rinunciato a pensare la realtà così complessa e di fronte alle difficoltà regna l'appiattimento.
Quanto al libro e al processo per lo sciopero a rovescio ecco cosa dice Dolci di fronte alla corte: Abbiamo sempre affermato che per salvarsi bisogna lavorare come dice anche l'articolo 4 della Costituzione italiana il quale afferma che il lavoro è un dovere oltre che un diritto. Noi siamo convinti che la Costituzione è una cosa seria. (…) Lo hanno detto tutti i morti della Resistenza che sono morti per la Costituzione. La Costituzione in Italia è la sola legge della quale non ci dobbiamo vergognare. Parole sante: di quella costituzione prima che la cambino proprio non c'è da vergognarsi.
Marco Filoni
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