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Anno edizione: 2014
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A Esposito si può obiettare che la filosofia italiana ha dimostrato scarsa vitalità rispetto alle culture filosofiche tedesca, francese, inglese o americana, che hanno una tradizione filosofica molto più ricca e originale. Il ripiegamento della nostra cultura su se stessa è una vecchia tentazione. La pretesa della nostra filosofia al primato si è sempre scontrata con l'inadeguatezza dei suoi mezzi e con la sua povertà conoscitiva. Sembra poi molto dubbia l'unità della filosofia italiana. L'immagine di una tradizione italiana che attraverso Vico si congiunge al Rinascimento è un miraggio. L'ultimo tentativo di dare unità alla filosofia italiana è stato il neoidealismo di Croce e Gentile, la cui prevalenza ha fatto sì che l'Italia sia rimasta estranea ai movimenti che hanno caratterizzato la cultura degli altri grandi paesi, dallo storicismo alla fenomenologia, dall'esistenzialismo al pragmatismo, dal neopositivismo alla filosofia analitica. E' stato scarso il contributo originale apportato dalla filosofia italiana, che ha vissuto solo parzialmente e di riflesso l'intensa stagione di inventiva filosofica dell'Ottocento e del Novecento. La tradizione filosofica che è culminata in Croce e Gentile ha determinato una chiusura culturale italiana, un isolamento filosofico occultato dall'illusoria certezza di trovarsi al culmine del pensiero, giudicando le altre filosofie con un atteggiamento di superiorità se non di disprezzo. La linea individuata da Esposito mette tra parentesi la moderna scienza della natura, il razionalismo cartesiano e l'empirismo inglese, l'Illuminismo e l'eredità della rivoluzione francese, esprimendo così una visione autarchica della filosofia. La cultura che sta alla base di questi sogni di primato è una cultura vecchia e irrimediabilmente provinciale, prodotto di un paese che si è sempre illuso di indicare al mondo una altra via alla modernità, quando semplicemente non è stato capace di percorrere nessuna delle strade già sperimentate altrove.
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