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Quando si parla di autismo si pensa all'autismo infantile. L'autismo è nato invece nella psicopatologia della schizofrenia di soggetti adulti, grazie alla geniale intuizione clinica di Eugen Bleuler (1911). I recenti manuali diagnostico-statistici non recano traccia di questo concetto, se non nella sua declinazione infantile. Arnaldo Ballerini, uno dei maestri della psicopatologia fenomenologica italiana, riprende questo concetto e lo restituisce a nuova vita, riportandone in primo piano l'essenza e ripulendone i confini. Ad esempio, cominciando con il sostenere che, nonostante l'etimologia stessa della parola rimandi alla solitudine e all'isolamento, l'eremita non può essere considerato il prototipo dell'autismo. L'eremita sospende i rapporti interpersonali, ma l'altro e il mondo non scompaiono certo dal suo orizzonte. Bleuler, paradossalmente, ha fatto un cattivo servizio all'autismo. Descrivendolo come una forma di ritiro in se stessi e di efflorescenza della vita interiore ha offuscato l'essenza del fenomeno. L'autismo non può essere ridotto al ritiro e al distacco: fenomeni comportamentali di superficie comuni a molte altre condizioni psicopatologiche e non. L'autismo nella sua essenza è un disturbo della fondazione intersoggettiva del mondo: al fondo dell'autismo non si trova un io ritirato dal mondo ma un io sopraffatto dal mondo. In questo senso l'autismo non è un sintomo (ma è più di un sintomo); non è neanche un vissuto. È un tratto della persona che in alcune sue possibili declinazioni si assolutizza in maniera pervasiva, diventando il nucleo patoplastico della schizofrenia. Si potrebbe dunque dire che, se non c'è schizofrenia senza autismo, può esserci viceversa autismo senza schizofrenia.
Mario Rossi Monti
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