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Questo gradevole volumetto riassuntivo di Beppe Mariano, dotato di scritti di Giovanni Tesio e di Sebastiano Vassalli, rende conto, all'interno di uno degli alvei microeditoriali più distinti di questi anni, di una scelta cospicua del lavoro pluridecennale del poeta saviglianese e torinese di cultura e di frequentazioni, valicatore di riviste, sperimentatore in gioventù, contaminatore verbo-visivo, giornalista e scrittore di teatro, personalità nomade senza clamori e senza cedimenti. Tra anni settanta e oggi trascorrono ideali e posizioni, utopie e declini: in un poeta essenzialmente concreto e denotativo (anche all'interno di un'intermittente intenzionalità sperimentale) ciò che resta costante è un'idea di poesia come servizio, come nobile e austero plateau comunitario e responsabile. L'estetico, in questo tenace e rispettabile progetto, non è una finalità. Dovessimo scomodare la scaletta delle vecchie e rassicuranti tipologie morali applicate all'agire letterario, diremmo che l'utile è la categoria che l'autore tende a non perdere mai di vista; un utile comunicativo che però sembra riflettersi piuttosto sull'autore stesso come forma di garanzia autoriflessiva dell'etica dell'agire e del dire, che non sullo spazio altruistico del docere. Passano, dentro questa stimolante antologia, la storia, la Resistenza, il carcere (non come "scuola di rivoluzione", quest'ultimo, bensì come ulteriore pratica di resistenza del soggetto ferito: esperienza traumatica virata in una situazione morale e materiale del limite). Lo stile, a parte frequenti (e forse non sempre necessari) accorgimenti nobilitanti e altre ingenuità metodologiche, registra il fenomeno di alternanza tra lingua e dialetto. E qui forse è rinvenibile la contraddizione più acuta di questa ricerca poetica: la pretesa, fortunatamente sventata nei risultati, di Mariano a una ascrivibilità del proprio lavoro recente a una zona di matrice mitomodernista che faccia capo a Giuseppe Conte. In realtà esistono differenze marcate, ideologicamente decisive, tra questa scuola fertile ma non sempre attendibile e l'idea di archetipo che Mariano sa mettere in circolo. La sua montagna (il suo Monviso) è al tempo stesso prototipo, nume, giustiziere, ma anche calore di affetti, strati di storia, dolore antropizzato e circostanziato, sofferenza non romantica, sudore, conoscenza diretta. Al di là delle urgenze del dire, è questo il valore che si fa spazio entro lo sforzo generoso dei linguaggi misti. Giorgio Luzzi
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