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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2021
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Perfettamente riuscito, non sono riuscito a staccarmi dal libro. Nel perfetto stile surreale che contraddistingue la Vargas, il libro è meraviglioso.
buono ma le ultime 50 pagine non valgono il prezzo del biglietto....
Secondo me il suo libro migliore, fermo restando che sono tutti (io ho letto solo quelli tradotti in italiano) molto godibili e avvolgenti. La Vargas è uno di quegli autori verso i queli è possibile parlare di "fiducia". Ci si può fidare di lei, perchè non imbroglia, è rigorosa, mai approssimativa, capace di dipingere con perizia ogni suo personaggio, con tratti rapidi, limpidi, fluidi, senza pedanteria. Mi associo a chi scrive che sarebbe splendido avere puibblicati in italiano anche gli altri testi.
Recensioni
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Di Fred Vargas - pseudonimo dietro il quale si nasconde una docente di storia medievale di un'università parigina - avevamo già letto, in traduzione italiana, due bei romanzi, Chi è morto alzi la mano e Io sono il tenebroso (Einaudi, 2002 e 2003), parte di una più ampia serie che vede protagonisti tre insoliti detective dilettanti, ovvero tre giovani storici "nella merda fino al collo" grazie a un mercato del lavoro culturale non propriamente vivace ed equo. In questo nuovo romanzo, Marc, Mathias e Lucien fanno solo una fugace comparsa, mettendo però a disposizione competenze "disciplinari" che si riveleranno cruciali nella soluzione di un caso misterioso al quale sta lavorando il commissario Jean-Baptiste Adamsberg, Divisione anticrimine.
La storia ha un avvio lento, straniante. Ci troviamo infatti a Parigi, all'incrocio Edgar Quinet-Delambre, con l'immancabile uscita del metrò, ai giorni nostri, ma assistiamo a un rito oggi impensabile, la lettura in pubblico di una molteplicità di messaggi, "una sessantina al giorno, cinque franchi l'uno", fatta da un banditore improvvisatosi tale per sbarcare il lunario. Il bisogno aguzza l'ingegno, quello dei laureati in storia e quello dei pescatori disoccupati che hanno avuto qualche guaio con la giustizia. Così, in questo giallo dal robusto impianto teatrale, seguiamo una storia di omicidi che sembrano non avere tra loro altro legame se non quello di essere sibillinamente preannunciati al banditore, scelto dall'assassino come amplificatore delle sue azioni. E di apparire sotto le mentite spoglie di casi di peste. Un'epidemia seminata da un untore? un nuovo medioevo? Ne dubita, il lucido commissario Adamsberg, che per un lungo tratto brancola tuttavia nel buio, affiancato dal suo vice Danglard - bella coppia di poliziotti, Adamsberg e Danglard, tipi umani cui l'autrice dà sapientemente corpo e carattere, nonché abiti che all'uno calzano a pennello e all'altro cascano addosso, ironici indicatori di un temperamento e una storia di vita - e decide di stare appiccicato all'unico sospetto, il banditore Joss Le Guern, e di tener d'occhio l'unico elemento d'indagine di cui dispone, la sua urna d'altri tempi. "In fondo all'urna c'era roba dicibile e non dicibile (...), ma ciò che il banditore aveva scoperto era il volume insospettato dell'indicibile".
Adamsberg indaga con pacatezza, frequenta la pensione in cui vive Le Guern e a poco a poco arriva a conoscere tutto il bizzarro gruppo di abitué del posto. Che è un luogo - anche sociologicamente, per opposizione ai tanti non luoghi della società contemporanea - molto francese, molto parigino, in cui si muovono con passo da caratteristi numerosi personaggi inconsueti, e tutti riusciti. Leggendo si è portati a pensare a certi dipinti fiamminghi, antiche scene di mercato con tante figurine che si affaccendano, ma la medievista Fred Vargas provvede subito a riportarci al presente con la stessa sottigliezza con cui fa balenare davanti a noi lo sfondo storico e pittorico, le storie di famiglia, i retroscena di ogni vita. E mentre il commissario Adamsberg si concentra sui fatti e sugli indizi percorrendo la città a piedi con la stessa ostinazione con cui il suo concittadino Montaigne andava su e giù nella propria biblioteca, nell'urna di Joss vengono deposti messaggi sempre più inquietanti, in una lingua sempre più annerita dal tempo, che è tuttavia l'unico filo conduttore di un'indagine che sembra sempre a un punto morto.
Del resto, per dirla con Henning Mankell - creatore di un altro grande commissario, lo svedese Kurt Wallander - se non ci fossero i punti morti non ci sarebbero i romanzi polizieschi. In questo caso è la lingua dell'assassino a insospettire gli investigatori, sono le citazioni, l'uso arbitrario dei puntini di sospensione a rianimare le indagini. "Non si tritura il testo di un Antico, non lo si frantuma a proprio uso e consumo. Lo si onora e lo si rispetta". Un imperativo categorico per l'archeologa e medievista, certo, ma l'originalità e il talento del suo doppio Fred Vargas stanno nel rendere credibile e avvincente un'indagine condotta con gli strumenti della filologia da un commissario che sembra far proprio il principio della fedeltà al testo. Intesa anche come fedeltà a un metodo di lavoro, a una ricerca del colpevole condotta senza gesti cruenti, svelando invece a poco a poco i retroscena dei delitti, le loro motivazioni sociali, economiche, familiari. Un'incalzante archeologia delle vicende umane, debitrice forse a Maigret di alcuni gesti e abitudini, di certi squarci affettuosi sulla privatezza degli investigatori.
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