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Libro potente, ricchissimo, nel quale tutta la storia di un Novecento tragico urla la sua nerezza e il suo dolore nella vicenda di una biografia resa con padronanza splendida. L'autore - vorrei scriverlo nella gola di un megafono, si può? - è uno dei grandissimi del secolo scorso, autore di due capolavori quasi invisibili agli occhi foderati di nulla di certo mercato editoriale per larga parte ormai misera mediocre clinica coi suoi prodotti inconsistenti a brillare (fossero ordigni!) di buio periodico sui tavoli delle librerie. Fra svarioni e amnesie conclamate dunque mi si lasci passare una trafittura di spada alla beata e sempre vergine stasi di molta editoria illuminata. Bisognerebbe ristampare dei capolavori assoluti figli di quell'Est meravigliosamente trascurato e poetico come pochissimi angoli di terra. Li menziono: 1)Piccola Apocalisse di Tadeusz Konwicky, rovinosa e imbattibile ascesa di un piccolo grandissimo personaggio. 2 e 3): Del nostro quassù esaltato: Il perdente e Il visitatore, picchi di irrespirabile grandezza, storia e destino nei loro agganci più stretti. 4) Il caffè sulla strada del cimitero di Ota Filip, gioiello di formazione nascostissimo nelle nostalgie più alte e più fedeli per chi lo ricorda. 5) Rondò 6) L'idea 7) Variazioni postali, tutti e tre di Kazimiers Brandys; più che definirli tre momenti di grazia e di autentica virtù narrativa non saprei aggiungere. 8) e 9) Insaziabilità e Addio all'Autunno di Wietkiewitz, due immense tele di felicità indiscussa, due vertici di immacolata dirompente malattia senza pari nel novero di ciò che davvero può esser definito Arte. Quindi magnifici nove assenti che non sfigurerebbero davanti a ogni cosa, a null'altro - ripeto - nel deserto intartarito e flaccido della nostrana suppurante Mater editoriale. Sono ferite che mi permetto di gettare come fiori promettenti davvero, miti consigli nel grande mare delle decisioni che contano.Ciò detto, leggete almeno questo, è traccia di altissima virtù.
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