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Poiché per certuni il papa è il diavolo tout court, l'editore non ha potuto non cedere alla diabolica tentazione di mettere in copertina Eugenio Pacelli, universalmente noto come Pio XII, ma assai meno conosciuto per la sua lunga missione di nunzio apostolico in Germania negli anni cruciali di Weimar. In realtà, il libro di Wolf si ferma al 1939, anno di ascesa di Pacelli al soglio di Pietro, soffermandosi quindi quasi esclusivamente sul precedente pontificato, quello di Achille Ratti. Nel suo complesso il testo, che si inserisce nel profluvio di pubblicazioni sui rapporti tra Santa Sede e Terzo Reich, ha un suo rigore, segnalandosi per il tentativo di mantenere le distanze da qualsivoglia sensazionalismo e per il ricorso a un'abbondante documentazione, in parte inedita, anche se diseguale. L'autore si sforza di ricostruire un ventennio di complessi rapporti, dal 1917 (anno delle rivoluzione bolscevica) al 1939, mettendo in luce l'intenso dibattito interno che accompagnò il Vaticano in anni caratterizzati da cambiamenti politici repentini negli equilibri europei. Rilevante, in questo contesto, è la definizione che Wolf fa delle due diverse posizioni compresenti, quella del Sant'Uffizio, legato alla dottrina e alla dogmatica, e del Segretariato di Stato, retto dal 1930 da Eugenio Pacelli, e informato a una maggiore misura diplomatica, ovvero incline a una qualche apertura politica, sia pure mediata e molto meditata, al regime di Hitler. In tale contesto emerge il rapporto di dialettica contrapposizione del futuro papa con il suo predecessore, assai più freddo nei riguardi di Berlino, senza che però questo si traduca per il primo in una propensione antisemitica. Semmai è proprio in quegli anni che la chiesa avvia un percorso di riflessione sull'antigiudaismo. Ma in mezzo doveva esserci ancora una guerra e tanto altro.
Claudio Vercelli
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