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Secondo volume di quest'affascinante trilogia. Uno squarcio di vita egiziana con immagini vivide e personaggi meravigliosamente sensuali. Lettura scorrevole e piacevole. Consigliato
Un librone per numero di pagine, contenuto, forma e sostanza. Magica l’atmosfera che Mahfuz riesce a restituirci di un paese e della sua capitale, l’Egitto e il Cairo, nel pieno del suo fulgore. L’epopea di una nazione che si affranca dal giogo coloniale e dalle superstizioni del passato che si intreccia con la vita privata e la quotidianità di una famiglia cairota e dei rapporti di ciascun suo componente con parentela, vicinato, amicizie, amori — proibiti e non —, sogni e aspirazioni. Cadono le superstizioni, si allenta la tirannia e cadono le illusioni. Illusioni dure a morire eppure caduche come la vita umana. Una vita e una morte che non distingue tra eroi e gente comune, vittime e “carnefici” uomini pii e “peccatori”, donne “per bene” e “poco di buono”. Un librone che raccomando a chiunque, ma in special modo a quelli che, erroneamente, ritengono il mondo arabo come un monolite privo di quei segni che in occidente ascriviamo alla secolarizzazione. Una lettura che fornisce più informazioni sul medio oriente, e sulla particolare prospettiva cosmopolita e pluralista egiziana, che un qualunque trattato o saggio sociologico dedicato. Una lettura che merita riletture e suggerisce punti di vista spesso inascoltati e sempre inattesi in noi pigri lettori occidentali. E lo stile di Naghib Mahfuz? Forbito, impeccabile, impareggiabile. Consiglio, tuttavia, chi si accingesse alla lettura di questo grande capolavoro di leggere prima l’altro grande romanzo della Trilogia del Cairo: Il miraggio, del 1951. Ciò perché la traduttrice de Il miraggio è stata più prodiga del traduttore de Il palazzo del desiderio di annotazioni e suggerimenti, indispensabili per chi non abbia familiarità con la struttura sociale caratteristica del mondo arabo e con gli aspetti, mistici e secolarizzati a un tempo, della religiosità islamica. Salvatore Giordano
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