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ecco la spiegazione del xkè in Italia c'è solo capitalismo di serie B. spesso e volentieri d serie C!
Un libro chiaro che spiega in modo inconfutabile come il capitalismo all'italiana sia rimasto ai tempi del medioevo: da una parte i padroni che possono tutto, dall'altra i piccoli azionisti (il cosiddetto azionariato diffuso! favola per bambini) buoni solo a dare il sangue e sui quali i primi si ingrassano vergognosamente e impunemente.
Premesso che sono un fan del Dr.Dragoni, considero questo libro un ottimo lavoro: l'analisi dell'argomento trattato è ineccepibile, fatta con indiscutibile competenza, descritta in un testo chiaro e scorrevole, immediatamente comprensibile (ahinoi!) e mai noioso (non è facile scrivendo di finanza e economia), e soprattutto politically correct. Apprezzo particolarmente la sintesi efficace di varie vicende economiche, propedeutica alla comprensione del loro percorso e a conoscere i protagonisti dell'imprenditoria e del management in Italia. La considerazione finale di p.256 è la somma di tutte le constatazioni: "...la debolezza delle classi dirigenti (economica e politica io aggiungo, che si puntellano a vicenda) mette in pericolo il futuro dell'economia italiana.". Ennesima dimostrazione di un sistema in cui le procedure sono tutt'altro che chiare e trasparenti, praticate spesso al limite del lecito, quanto basta per farla sempre franca, e anche nel caso ci si dovesse macchiare non c'è problema nel caso in cui si rappresenti un "pilastro" del sistema, altrimenti si subisce l'ostracismo oppure una dura penitenza. Lo reputo il migliore saggio da me letto negli ultimi dodici mesi, complimenti agli Autori.
Recensioni
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Sapete a quanto ammontano gli stipendi di alti dirigenti, manager di primo piano, banchieri, imprenditori di punta del nostro Paese? Cifre da capogiro che è difficile anche immaginare prima di avere letto questo libro denuncia dei giornalisti Gianni Dragoni, inviato de "Il Sole 24 Ore", e Giorgio Meletti, responsabile della redazione economica del Tg La7. Un libro che «si propone di entrare in un mondo che solitamente predilige il segreto
che ama farsi scudo del latinorum della finanza, fatto di parole inglesi roboanti, di fronte alle quali è difficile non sentirsi inadeguati.»
Dopo La casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ecco la denuncia della nascita di "una nuova oligarchia" che si affaccia prepotentemente sulla scena economica: "i manager delle società quotate in Borsa". Il tema dichiarano gli autori «ormai tiene banco sui giornali di tutto il mondo. In Italia è stato considerato finora demagogico. Ma davvero strapagare i top manager consente di avere "aziende che crescono e che creano ricchezza?» In questo periodo di seria crisi economica la risposta appare persino scontata. I risultati del lavoro di tanti talentuosi "cervelli" della scienza economica non si vedono affatto e ogni giorno diventano sempre più allarmanti le notizie su tracolli finanziari e crescita zero. Di contro, le retribuzioni dei grandi manager «crescono senza alcun rapporto con il costo della vita e con i progressi delle aziende.» Alcuni casi per tutti: Nove milioni e 426mila euro. «è quanto la banca Unicredit ha dato come compenso per il 2007 all'amministratore delegato Alessandro Profumo. Profumo ha guadagnato oltre 25mila euro al giorno. Quanto un lavoratore medio in un anno. Nel 2005 il bilancio delle Ferrovie dello Stato ha dichiarato una perdita di 472 milioni di euro
la paga dell'amministratore delegato Elio Catania è stata di un milione e 930mila euro, di cui 350mila per il raggiungimento degli obiettivi assegnati.»
Senza remore e soggezioni, i due autori analizzano la situazione del capitalismo italiano partendo dalle retribuzioni dei manager e dei grandi imprenditori. Il loro saggio è basato su dati ufficiali e pubblici, «analizzati secondo una logica puramente economica, relegando tra i sottintesi la convinzione che alla base di ogni fatto economico e sociale ci sia anche, sempre, una questione etica.» Ce n'è per tutti: da Tronchetti Provera e il caso Pirelli-Telecom, alle "Cose di casa Agnelli" con Gianlugi Gabetti, Montezemolo e Marchionne, e poi Mediobanca, da Cuccia a Geronzi; i grandi banchieri, Corrado Passera, Giovanni Bazoli, Matteo Arpe, che racconta di aver lasciato l'americana Lehman Brothers per Capitalia, andando a dimezzare il suo stipendio. Non mancano le famiglie della grande imprenditoria italiana ("quel che resta del salotto buono"): i Pesenti, della calcestruzzi, i De Benedetti dell'Olivetti. E "i nuovi arrivati": Berlusconi, Benetton, Caltagirone a cui si affiancano i "dipendenti d'oro" e cioè i dirigenti di grandi aziende pubbliche come Autostrade, Eni, Enel, Alitalia. Infine, per i più curiosi, la classifica dei 100 manager più pagati, con tanto di cifre. Nomi, cifre, dati snocciolati in gran quantità e con dovizia di particolari, per riflettere sul sistema di potere e privilegi che domina il capitalismo e l'imprenditoria italiana.
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