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scheda di Bardi, M., L'Indice 1995, n. 6
Il bel libro di Marina Jarre, uscito da Einaudi nel 1987 e ora ristampato, è una ricognizione autobiografica che ribadisce a ogni passo la difficoltà dell'impresa e la fatica emotiva: "Cercare pace per mezzo del libro non è in verità di nuovo travisarlo? La vita sola può dare pace e guerra e di ciò il libro deve riferire". La minuziosa e frammentata ricostruzione della storia personale è informata a un rigore morale di ascendenza valdese che l'autrice rivolge di preferenza contro se stessa: nella prima parte del libro, "Il cerchio della luce", la Jarre compone per se il ritratto di una ragazzina vigliacca e con una forte tendenza alla mistificazione della realtà e all'invenzione. Laddove qualche teoria psicologica indicherebbe cause e giustificazioni l'autrice non indulge mai all'autocommiserazione e all'uso di toni patetici. Anche nella seconda parte, che descrive gli anni dell'adolescenza e della giovinezza, la Jarre riconosce a se stessa - nel ribadire la distanza dal "dio tremendo" degli antenati come dalle imprese partigiane della valle, "disorganizzate, disordinate, inutilmente pericolose" - i due caratteri essenziali di un'istintiva pietà per i deboli e di un'ira incontenibile e tempestosa. Nell'ultimo capitolo, "Come donna", ci sembra di scorgere le pagine più riuscite, quelle in cui si snoda, doloroso e avvolgente, il racconto di un'età in cui il ruolo materno, scelto e assunto con generosità, finisce per seppellire in se stesso il rapporto con il marito Gianni e gli affetti di una madre temuta e lontana.
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