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Uno Stevenson negletto, questo straordinario reportage sulle Isole Samoa, forse perché ha l’aria di un saggio storico, anche se contiene pagine degne dei suoi più celebri romanzi. Negletto nel tempo e dalla travagliata vicenda editoriale: quando fu dato alle stampe portò il povero Stevenson davanti ad un tribunale a causa delle accuse mosse alle grandi potenze coloniali, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Siamo nell’anno 1889, lo scrittore sbarca nel dicembre a Samoa: è sconvolto dalla situazione che trova. Da otto anni infuria quella che viene erroneamente chiamata guerra civile. È proprio Stevenson a riconoscere nel conflitto una guerra di interessi tra superpotenze per la produzione di copra, la polpa essiccata di cocco, in quantità industriali. Naturalmente il sacrificio dei samoani, dei loro costumi e delle loro abitudini agricole è l’ultimo dei problemi. Stevenson decide invece ricostruire in dettaglio tutte le vicende, compulsando i documenti ufficiali e intervistando i protagonisti ancora in vita, inclusi gli abitanti di Samoa. Le sue pagine sono del tutto imparziali e compaiono prese di posizioni durissime. In più, al lettore regala tutto il godimento della sua scrittura, qui a tratti più concitata rispetto ai romanzi, mettendo in scena il dramma dell’eterno scontro tra buoni e cattivi, senza dimenticare mai le ambiguità degli uni e degli altri.
Recensione di Camilla Valletti
Il titolo originale del saggio A Footnote to History: Eight Years of Trouble in Samoa pone in risalto la caratteristica principale di quest’opera: il suo presentarsi come “nota a piè di pagina della storia”. Si tratta infatti di una cronaca minuziosa di vicende periferiche rispetto ai centri del potere.
Nel ricostruire la storia politica delle isole Samoa dal 1883 fino all’inizio del decennio successivo, Stevenson riesce però a illustrare lucidamente il funzionamento degli imperialismi di fine Ottocento nelle periferie del mondo. (…) Otto anni di guai descrive le macchinazioni delle tre potenze presenti nell’arcipelago – Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti – per creare una situazione politica favorevole ai propri interessi economici. (…). La potenza più influente è la Germania che possiede vaste piantagioni ed è leader nel commercio del cocco. Le autorità tedesche si ritengono però insoddisfatte del legittimo re Laupepa che dunque viene deposto, e sostituito dall’arrendevole Tamasese, nonostante sia Mataafa a godere di maggiore sostegno nella popolazione. Lo scontento regna non solo fra gli abitanti, ma anche fra i rappresentanti delle altre due potenze. L’indignazione dei samoani sfocerà in una rivolta contro i tedeschi (…). La battaglia di Fangalii, in cui Mataafa ha la meglio entrerà di diritto nella leggenda. Non sono però gesta umane a concludere le schermaglie, ma un evento naturale. Nel marzo 1889 ben sette navi da guerra (tre tedesche, tre americane e una britannica) stazionano nella baia di Apia, una parata strategica che si dimostrerà fatale di fronte a un uragano. (…) Il piccolo porto sovraffollato diventa una trappola micidiale. Solo la nave britannica riuscirà a guadagnare indenne il mare aperto.
L’intero episodio può essere letto come una parabola della follia delle ambizioni imperialistiche e porterà al Trattato di Berlino del 1889. Laupepa è re insediato sul trono e regnerà affiancato dal vincitore morale Mataafa. Interessante è il metodo adottato da Stevenson (…). Molte delle informazioni raccolte provengono da documenti scritti ed espongono solo il punto di vista occidentale. Stevenson colma questo vuoto intervistando i protagonisti e testimoni samoani. (…)
Il testo di Stevenson, oltre a mostrare un’inedita vocazione di storico, ne sottolinea dunque la serietà e profonda equanimità di uomo e studioso.
Recensione di Paola Della Valle
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