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recensione di Robiglio, M., L'Indice 1998, n. 8
Primo di due volumi dedicati all'opera di Oswald Mathias Ungers nella collana maggiore di Electa, questo libro segue di poco l'uscita, per i tipi dell'editore Skira, di una raccolta di scritti scelti ("Ungers. La città dialettica", Skira, 1997; cfr. "L'Indice", 1998, n. 2) e di una monografia edita da Zanichelli ("Oswald Mathias Ungers", a cura di Martin Kieren, 1997; cfr. "L'Indice", 1998, n. 4), a segnare una rinnovata attenzione dell'editoria italiana per l'architetto tedesco.
Ungers è figura emblematica dell'architettura della Germania del dopoguerra: dall'inizio degli anni cinquanta, ancora in piena ricostruzione, agli anni ottanta della costruzione della nuova città della finanza e degli affari a Francoforte, fino all'esplosione edilizia della capitale riunita, la Berlino degli anni novanta, si snoda il filo delle sue opere. Architetto-teorico, grande professionista, Ungers arriva da posizioni radicali a diventare il più illustre interprete della cultura architettonica della Germania ufficiale.
La sua ricerca ha origine nella crisi dei canoni del razionalismo che attraversa la cultura architettonica europea del secondo dopoguerra. I "padri fondatori" del Bauhaus - Mies, Gropius, Mayer -, allontanandosi prima della guerra dalla Germania hitleriana, hanno lasciato il campo al cinismo e alla fretta di una ricostruzione che avviene nelle forme semplificate di un International Style d'importazione. Ancora oggi il viaggiatore può riconoscerne gli esiti negli anonimi edifici commerciali dei centri sventrati e nelle periferie senza qualità di molte città tedesche. Marginale per trent'anni nel dibattito europeo dopo l'egemonia degli anni venti e trenta, con Ungers l'architettura tedesca riconquista la scena internazionale.
Proprio dal rifiuto dei modi della ricostruzione nascono il ripensamento della forma urbana della città ottocentesca e la ricerca sulla composizione dell'isolato urbano. Il linguaggio architettonico, inizialmente legato alla lezione dell'avanguardia berlinese, individua successivamente nella tradizione senza tempo di Tessenow e nel classicismo semplificato della Neue Sachlichkeit i riferimenti di un'architettura moderna che tenta di recuperare il filo interrotto della memoria, uscendo dai canoni del razionalismo. Non a caso l'attenzione di Ungers si sposterà presto dai terreni dell'analisi urbana e della tipologia verso lo studio delle regole associative e generative del processo creativo dell'architettura, verso la sperimentazione del potenziale euristico delle metafore e delle analogie nella progettazione. Dopo la presenza alla Sezione Internazionale di Architettura, XV Triennale di Milano - curata da Aldo Rossi -, sono il quaderno di scritti teorici che la rivista "Lotus" pubblica nel 1983, "Architettura come tema" ("Die Thematisierung der Architektur"), e la serie dei progetti a più riprese documentati negli anni ottanta sulla "Casabella" diretta da Vittorio Gregotti, a fare del lavoro di Ungers un riferimento necessario anche per gli architetti italiani.
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