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L’ospite d’onore” è una raccolta di piccoli gioielli, in cui la quotidianità degli abitanti di un’America di provincia viene scossa da sentimenti estranei e disturbanti, elementi nuovi che si inseriscono nelle vite dei protagonisti, a volte terrorizzando, altre infondendo barlumi di speranza. Un’antologia personale che ci ha permesso di comprendere il grande valore di un’autrice come Joy Williams, capace, in poche pagine, di far vibrare le corde nascoste del nostro animo.
Maestra indiscussa del racconto americano e finalista al Premio Pulitzer, WIlliams era ancora inedita in Italia per quanto riguarda la sua produzione breve. “L’ospite d’onore” contiene ben 46 racconti, ossia la maggior parte della produzione di short storie della Williams. Un intero universo narrativo, che irrompe con forza nel lettore tirandolo a sé, ammaliandolo prima, per poi masticarlo e risputarlo fuori completamente avvinto dagli scritti di questa autrice straordinaria.
I racconti li scrive Alice Munro o Flannery O’Connor o Katherine Mansfield o qualcun'altra delle scrittrici famose in Italia per i loro racconti, certo non credevo li scrivesse anche Joy Williams: e che racconti. Sono tutti permeati da uno stile che li rende diversi da tutti gli altri racconti letti fino a quel momento e che li lega uno all’altro per quanto siano diversissimi i personaggi e le situazioni che si svolgono al loro interno. C’è la dolorosa fatica di vivere ma non c’è soltanto questo: c’è l’amore di chi a volte ce la fa e non si arrende e altre volte invece rinuncia e ne subisce tutte le conseguenze, ma quale che sia il finale, ora duro ora migliore del previsto, non manca mai un amore che non è la semplice manifestazione di un sentimento: l’amore come componente fondamentale per stare all’interno della vita, fosse pure come all’interno di una gabbia ora tremenda ora dorata, vincendo la tentazione di evaderne: perché oltre il perimetro della vita non ci potrà mai essere nulla che le sia preferibile.
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