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Una scrittura pacata, che in maniera lietamente sorniona spiazza il lettore rivolgendo uno sguardo straniante e crudele sulla realtà di un mondo disumanizzato, in cui gli esseri umani si stanno trasformando in “manichini” ubbidienti alle leggi feroci del consumismo, allineati davanti alle casse dei supermercati, o spettatori inebetiti dalle televisioni e dai computer. Mentre la terra agonizza tra inquinamento e gas serra, invasa da masse migranti di affamati, Zanotti si affida alla fiaba e alla fantascienza, al sapere infantile e al folklore popolare, all’avventura picaresca e all’ecologismo, al fumetto e alla ghost-story, con un tocco di nostalgico romanticismo corretto da un gusto affiorante del particolare macabro. C’è in questo autore la sensibilità di farsi portavoce della memoria collettiva della generazione nata negli anni ’70, cresciuta con i cartoon di Candy Candy, pasciuta con «placido pane-burro-e-zucchero» in famiglie bastantemente infelici, desiderosa di evadere con ribellioni eclatanti e incapace di farlo: giovani disadattati nel presente e impauriti da un futuro minaccioso, rannicchiati nel rifiuto della postmodernità e proiettati verso un universo alieno, da Star Wars e viaggi interplanetari. Nicola Barilli nell’introduzione parla di molteplicità di stili adottati e di pluralità di direzioni, anche se i nuclei tematici dei racconti si riducono sostanzialmente a tre, corrispondenti a infanzia, giovinezza e maturità, con una dichiarata idiosincrasia per quest’ultima, colpevole di sottomettersi con eccessiva docilità ai riti del conformismo sociale. Riguardo allo stile adottato da Zanotti in queste prose, è da sottolineare la scelta incontestabile di una forma comunicativa piana, lineare, vivacizzata da un lessico inventivo e da inaspettate ed eccentriche metafore, a cui tuttavia l’autore non demanda il compito di disorientare il lettore con l’artificio della meraviglia, affidato invece sempre al contenuto, imprevedibile e nuovo.
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