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Il titolo è molto corretto: a qualsiasi ora lo leggiate, il libro vi farà addormentare. Sarà presto adottato in anestesiologia.
Libro molto bello. Per chi ama la poesia non banale.Copio alcuni passaggi dalla recensione di Roberto Rossi Precerutti su“Poesia”- Novembre 2007: “I versi di Vittorio Sereni posti in esergo alla raccolta di Mario De Santis costituiscono, per il lettore, una preziosa indicazione di percorso: “Troppo il tempo ha tardato / per te d’essere detta / pena degli anni giovani”. Infatti, il modo di abitare i giorni è anzitutto, per De Santis, esplorare i confini di una perdita che pur essendo ferita e strazio, si accende di melanconica luce memoriale.(…) Libro sontuosamente e, vorrei dire, modernamente metafisico, Le ore impossibili inverano un singolare equilibrio tra riflessione sulla caducità (“oggi morire è del tutto un passo puro”), dove inattesi echi rilkiani si mescolano in modo convincente a straniate emblematizzazioni (“i fari indagano nel bianco, pace / sospetta e vile nell’alba mai creata / sopraelevate che sembrano le chiese inutili / i ponti sui deserti”). Teatro di questo “mistero” laico sono una Roma di barbara violata bellezza (..) o una Milano trasfigurata e, insieme, riconoscibilissima:“...l'abbandono / al niente è perfetto come regno, così come la nostra / ombra disegna a perfezione la gabbia d'aria, / l'improvvisa trappola in cui cado, gelida giostra”; altre volte, si compone nella funebre e ingannevole precisione delle geometrie di mattini di luce povera, quando le cose si accampano su uno scenario di dura fissità (“non sono ancora pronto, la mattina prima del lavoro / la pioggia si ferma con furia, / la pioggia che ci aspetta, calcificata, sospesa tra gli uccelli”).(..)Attraverso un gioco protratto di rifrazioni che catturano provvisoriamente qualche sparso brandello di fulgore, l'io è significato essenzialmente dal corpo che, al pari di certe immagini di Bacon, sembra precipitato nell'acqua di uno specchio abbandonato al fondo di una stanza buia. Eppure, qualcosa infinitamente brucia consumando i recinti di infermità e silenzio dove non si può essere che “schegge / che stanno attorno al vuoto”(..).
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