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Le prime frasi del romanzo
Sono i primi anni Venti. In Europa la Grande Guerra è finita, ma i suoi effetti devastanti sono evidenti ovunque. La gente muore di fame. Gli orfani, lasciati a se stessi, si aggirano a piedi nudi, piangendo, tra le macerie. Intere famiglie rimaste senza un tetto vivono all’addiaccio, prive di ogni mezzo di sussistenza. Una coltre nera di disincanto ha oscurato il continente, soffocando i sogni, spegnendo qualsiasi prospettiva di futuro. I reduci, indossando ancora le uniformi macchiate di sangue e infestate dalle pulci, passano le giornate agli angoli delle strade, apatici e avviliti, con lo sguardo perso nel vuoto e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Sconfitti, non hanno speranza di trovare un lavoro e hanno smesso persino di chiedere l’elemosina.
In una piazza di Monaco, in Germania, un uomo magro e pallido con i capelli castani pettinati di lato sale impettito su un podio, alza il mento e punta gli occhi blu acciaio sulla folla di affamati. Con voce stentorea e gesti teatrali, urla parole di odio e riscatto a centinaia di tedeschi che si aggrappano alle sue promesse.
«Quando sarò al potere» sbraita l’ometto, con quella voce stranamente ipnotica, «il primo ordine del giorno sarà l’annientamento degli ebrei. Farò costruire schiere di patiboli a Marienplatz, sulla piazza principale, tanti da intralciare il traffico. Gli ebrei verranno impiccati senza distinzione, e i loro corpi lasciati a marcire. Resteranno in piena vista, finché saranno le autorità sanitarie a imporre di staccarli dal cappio.»
Prende fiato, poi prosegue: «E non appena sgomberato il primo gruppo, impiccheremo il secondo, e così via e così via, finché anche l’ultimo ebreo di Monaco sarà stato sterminato. Poi sarà la volta delle altre città, con gli stessi identici metodi, finché l’intera Germania sarà purificata dagli ebrei».
Quando Adolf Hitler conclude il discorso, alcuni spettatori scoppiano in un applauso frenetico, acclamandolo e urlando il proprio entusiasmo. Aspettano con impazienza un cambio di governo, e sono pronti a seguire qualsiasi leader si dichiari capace di restituire a loro e alla patria il rispetto e la prosperità calpestati dalla guerra. Altri si chiudono in un silenzio di tomba, preoccupati al pensiero di cosa accadrebbe ai loro cari nel caso sventurato in cui quel fanatico conquisti davvero le leve del potere.