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recensione di Puccini, D., L'Indice 1997, n. 1
La vocazione profonda di Soriano, fin dai suoi esordi, è stata sempre quella di scrivere un libro smarginato, irregolare: mescolando passioni sue segrete (per lo più cinematografiche o calcistiche) e personaggi più o meno ispirati alla realtà argentina, ma comunque tolti da un repertorio un po' strampalato, stravagante. Così era in parte il libro, molto bello, con cui si è fatto conoscere, "Triste, solitario y final" (Einaudi, 1991).Ma il romanzo, come tutti sanno, ha le sue esigenze di plot e di racconto. E ognuno dei libri che son venuti dopo hanno seguito le regole romanzesche: una volta Soriano scrisse un libro su pugili di provincia; una volta una vicenda di piccole risse tra peronisti e antiperonisti; e così via.
Fatto sta che libro che ora abbiamo di fronte, finalmente sciolto da ogni impaccio e finalmente ispirato al modello "on the road", è senza dubbio un punto di arrivo importante per Soriano.La narrazione, condotta sulla base di un suggerimento (scrivere un romanzo dal titolo "Guida alle passioni argentine") dell'editore, che è poi uno dei personaggi del libro, serve da spunto per il romanzo-viaggio che si sviluppa sotto i nostri occhi: insomma quasi un metaromanzo. Non è un caso che il libro sia costellato di frasi su una (desiderata) spontaneità o docilità della forma-romanzo, come, ad esempio: "L'estasi della narrazione è un istante strappato al tempo, qualcosa che sta sospeso nell'eternità".O meglio, riferendosi precisamente al romanzo in gestazione: "Non sapevo se andavo avanti o indietro; la storia che stavo scrivendo dialogava con quella del dischetto perduto, si frantumava, si disperdeva e coinvolgeva anche me come un ulteriore personaggio".
Del resto, fin dalla prima pagina si riferisce che il padre dell'autore, fuggito dall'ospedale, si era adoperato per "rimettere in piedi una vecchia Torino", e quando alla fine l'auto era tornata a posto, gli aveva mandato a dire "che saremmo potuti partire, io per scrivere il mio romanzo e lui per riprendere le sue conferenze di storia nei paesi di provincia".
È impossibile raccontare in qualche modo il libro: gli episodi e gli accidenti di cui si compone sono innumerevoli, spesso comici, in alcuni casi persino esilaranti.Ora incontra e poi rincontra il pastore Noriega, che predica bene e razzola male; ora Esteban Carballo, con i suoi ovetti Kinder e le ragazze del suo cosiddetto Paradiso, ecc. Ma una parte importante, non solo di sfondo o di pretesto, assumono nel corso del romanzo, specialmente all'inizio ma anche altrove, le figure del padre e della madre: la madre rievocata nella sua bellezza (era così bella che posava per la pubblicità del Palmolive) e nelle sue un po' favolose avventure, e il padre ricordato con molto affetto e una dolcissima simpatia per le sue molteplici e spesso bizzarre attività di girovago della sottocultura e di altre "artistiche" iniziative. L'attrazione verso il padre è nel figlio (e autore del libro) fortissima: tanto che talora il padre gli appare come visione e come "guida" dall'altro mondo.
Dopo la disgrazia in cui s'incendia la sua auto Torino, con dentro il computer e nel computer il romanzo quasi terminato, e dopo aver cercato invano il posto dove ha nascosto il dischetto relativo (vicino a un albero secco, in una campagna desolata), sarà proprio il fantasma del padre a ricondurlo sulla giusta strada e a fargli ritrovare il tanto rimpianto e sognato dischetto. È quasi la conclusione del romanzo e la sua summa segreta: "Mio padre era uscito dalla sua giungla per mostrarmi l'ora senz'ombra": quella che si suppone egli abbia immortalato nel suo scritto, come si indovina dalle sue vicende divertenti e interminabili.
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