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Oppio - Jean Cocteau - copertina
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Descrizione


Nel 1928, cinque anni dopo la morte dell'amico Raymond Radiguet, durante una cura disintossicante in clinica, Jean Cocteau, oppiomane, scrive e disegna. Per lui le due attività appartengono a un medesimo atto creativo: "Scrivere, per me, è disegnare, unire le linee in modo che diventino scrittura, o disunirle in modo che la scrittura diventi disegno". Così, nel corso delle giornate, dei singoli istanti, sotto i nostri occhi nasce un libro fatto di an notazioni, di giochi di parole, di giudizi da poeta ("Il mio sogno, in musica, sarebbe di ascoltare la musica dei mandolini di Picasso"). Ai commenti sulla letteratura e sugli scrittori (si vedano le pagine su Proust, su Raymond Roussel) si aggiungono le osservazioni sul cinema (Buster Keaton, Chaplin, Bunuel), sulla poesia, sull'arte. Ma il tema lancinante, che ritorna a ogni pagina, è quello dell'oppio: "Mi sono reintossicato perché i medici che disintossicano non cercano di guarire i disturbi originari che causano l'intossicazione...". Ma il disturbo originario può essere guarito? "Tutto ciò che si fa nella vita, anche l'amore, lo si fa nel treno espresso che corre verso la morte. Fumare l'oppio è abbandonare il treno in marcia, è occuparsi d'altro che della vita, della morte". In questo libro Jean Cocteau ritrova la grande tradizione dei poeti visionari, quella di De Quincey, di Baudelaire, e soprattutto di Rimbaud.
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Dettagli

SE
2016
5 maggio 2016
176 p., ill. , Brossura
9788867232055

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Lafcadio
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Uno dei libri che non dovrebbe mancare nella biblioteca di chi ama l'arte. Non solo il resoconto della disintossicazione dell'autore, ma uno zibaldone di note colmo di piccoli aneddoti sulle vicende personali di Cocteau e delle sue frequentazioni.

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Jean Cocteau

(Maisons-Laffitte, Seine-et-Oise, 1889 - Milly-la-Forêt, Fontainebleau, 1963) scrittore francese. Amico di Picasso e di Stravinskij, di Apollinaire e di Diaghilev, fu una delle figure più in vista dell’avanguardia parigina nel periodo fra le due guerre. Dotato di un talento multiforme, nella sua copiosa produzione rifletté via via, e a volte anche simultaneamente, tutte le mode letterarie e artistiche di quegli anni. La sua produzione in versi, raccolta in parte nel volume Poesie 1913-1923 (Poésies 1913-1923, 1924), concilia una fantasia influenzata dai pittori cubisti con l’imitazione metrica dei poeti del Cinquecento. Le opere teatrali alternano tentativi di modernizzare gli antichi miti (Orfeo, Orphée, 1927; Antigone, 1928; La macchina infernale, La machine infernale, 1934; Bacco, Bacchus,...

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