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Questo libro è frutto di una lunga ricerca archivistica e di un'attenta lettura delle più influenti riviste nonché dei maggiori quotidiani britannici, nel periodo compreso fra il 1925 e il 1940. L'obiettivo è evidenziare come si sia formata l'opinione pubblica inglese nei confronti dell'ascesa del fascismo italiano e quale sia stato il giudizio politico dell'elite intellettuale inglese nei confronti dell'Italia fascista soprattutto per quel che riguarda il rapporto fra regime e Società delle nazioni. La ricerca si focalizza sulla corrente liberale inglese, in quanto i suoi principali esponenti (fra i quali Layton, Murray, Toynbee) intrattennero rapporti privilegiati con alcune delle maggiori personalità antifasciste del periodo (in particolare Salvemini, Sturzo, Einaudi). L'autrice evidenzia e documenta come a un iniziale disinteresse inglese per le faccende italiane (che perdura almeno fino alla metà degli anni venti) si andarono sostituendo due opinioni opposte: da una parte, l'idea che il nascente movimento fascista fosse in grado di riportare l'ordine in un periodo di torbidi sociali e, dall'altra parte, l'impressione che qualunque fosse la vera natura del fascismo, la crisi italiana non potesse essere più sottovalutata. Successivamente, grazie soprattutto all'opera di Sturzo e di Einaudi, si comprese, da un lato, la natura totalitaria del regime e, dall'altro, il "bluff" del corporativismo. Tuttavia, la politica internazionale del regime (fino alla guerra d'Abissinia in linea con l'atmosfera pacifista inglese) aumentò la confusione in Inghilterra sulla reale natura del regime. Il libro focalizza proprio questo rapporto fra fascismo e comunità internazionale, dando rilievo a una visione non tradizionale della diplomazia del tempo che permette un'inedita e originale lettura della sottovalutazione del "pericolo fascista" per la pace. Giandomenica Becchio
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