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La terra è indifferente alla vicenda umana, che ospita a propria insaputa. Eppure il mito conserva la memoria di un tempo in cui l’uomo era partecipe dell’ordine cosmico, armonia non scritta di una dimensione contemplativa. L’ordine è infranto dal pensiero umano, dalla nascita della volontà pensante, da cui l’uomo apprende la propria estraneità alla terra. E’ la nascita della coscienza, che segna la dislocazione dell’uomo verso una dimensione progettuale - decisionale. La ricerca delle leggi che governano la terra, attuata dall’uomo per esorcizzare la solitudine cui la terra lo ha consegnato e l’angoscia che l’imprevedibilità di ogni accadere porta con sè. Il principio di identità e non contraddizione e il principio di causalità sono gli strumenti di questa ricerca: sono le fondamenta su cui si edifica la civiltà occidentale, costretta dalla propria volontà di potenza a imprigionare nell'oblio ciò a cui la ragione non accede. Ma ogni accadimento racchiude in sé un senso ultroneo, un senso che gli strumenti razionali non riescono a catturare: è il senso del simbolo, che secondo l’insegnamento junghiano “non rinvia a cose note”. La storia dell’occidente è la storia della riduzione del simbolo a statuto segnico, la storia della fuga dall’eccedenza di senso che ogni ente e il suo accadere custodiscono. La prepotenza della ragione: la sua volontà uniformante che si serve di leggi pre – stabilite per pre – venire ogni accadimento e depurarlo dall’angoscia dell’inaspettato; la sua funzione discretiva che de - cide di destituire la simbolicità dell’ente attribuendogli significato compiuto. E la violenza del simbolo, che sfugge all’opera di comprensione razionale, poiché tiene insieme (syn – ballein) l’ente e il suo contrario, la cosa e il suo altro: il simbolo come sovvertitore di un ordine convenzionale che ripudia ogni ambivalenza, siccome rievocativa di uno sfondo preumano da cui l’uomo ha dovuto emanciparsi per non soccombere alla terra e alla sua indifferenza.
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