La Mondadori pubblica nella prestigiosa collana "I Meridiani", fondata nel 1969 da Vittorio Sereni, il primo dei due volumi dedicati alle opere di Claudio Magris. La curatrice è Ernestina Pellegrini, raffinata studiosa della letteratura triestina e già autrice della più approfondita monografia su Magris (Epica sull'acqua, 2003). La raccolta contiene i saggi accademici Il mito absburgico nella letteratura austriaca moderna (1963) e Lontano da dove (1971), i romanzi Illazioni su una sciabola (1984), Danubio (1986), Un altro mare (1991), il racconto Il Conde (1990), oltre alle pièce teatrali Stadelmann (1988) e Le voci (1993). Il secondo volume, con le altre opere, tra cui i romanzi Microcosmi (1998, a mio parere con Danubio il capolavoro dello scrittore) e Alla cieca (2005), è previsto per il 2014. Pellegrini, in un'intervista a "Il Piccolo", ha lasciato intendere che potrebbe contenere anche "altre probabili e auspicabili sorprese narrative". Magris, nato nel 1939 a Trieste da una madre insegnante e un padre convinto antifascista di ispirazione mazziniana, su consiglio di Giovanni Getto, conseguita la maturità classica, si trasferisce a Torino per svolgere gli studi universitari, divenendo uno dei Ragazzi di via Po (1997) brillantemente immortalati da Aldo Cazzullo. Lasciata la Trieste segnata da aristocratiche nostalgie d'antan, che tentavano di farle dimenticare l'inquietante presenza della cortina di ferro, rendendola inesorabilmente provinciale, il giovane Magris riceve dalla metropoli industriale di quegli anni fortissimi stimoli intellettuali. Nella città in cui si erano formati molti anni prima Gramsci, Gobetti e Bobbio, Magris, ospite del Collegio Einaudi, segue i corsi universitari, passeggiando e discutendo nelle osterie con i futuri amici di una vita quali il linguista Gian Luigi Beccaria e lo storico Massimo Salvadori. In un ateneo in cui era allora possibile seguire le lezioni di Abbagnano, Pareyson, Del Noce, Bobbio, Venturi, Firpo e Getto, Magris, anche per riappropriarsi delle sue radici triestine, ora nuovamente interessanti grazie alla distanza, decide di laurearsi in letteratura tedesca con Lionello Vincenti. Divenire germanista a Torino fu però tutt'altro che una scelta passatista. Come scriverà in Microcosmi, "Non è un caso che la letteratura e la cultura tedesca siano state, in gran parte, scoperte e trasmesse all'Italia da Torino. La letteratura tedesca, con la sua simbiosi di poesia e filosofia, si è posta le più radicali domande sul destino dell'individuo nella modernità, sulla sua possibilità o impossibilità di realizzare pienamente se stesso inserendosi in un ingranaggio sociale sempre più complesso e spersonalizzato, capace di radicarlo concretamente nella storia o di stritolarlo (
). Torino ‒ 'la città moderna della penisola', secondo Gramsci ‒ è stata un cuore di questa modernità e ha creato una cultura radicata nella politica ma non subordinata ad essa. (
) Essere germanisti a Torino significava fare i conti con la modernità intesa come destino, con quella Germania che era stata la culla del marxismo e lo scenario storico e ideologico della forza e della debolezza della sua utopia. Il sogno di un Marx che legge Hölderlin come diceva Thomas Mann ‒ ossia la conciliazione fra prosa del mondo, liberata dall'alienazione, e poesia del cuore, è un cardine della letteratura tedesca moderna e questo sogno è stato vissuto a fondo dalla cultura torinese". La sua tesi di laurea, la cui immediata pubblicazione da parte di Einaudi viene caldeggiata da Cesare Cases, che subito vi scorge "una vena semiclandestina di scrittore", ottiene immediatamente il plauso della critica italiana e internazionale. Il germanista Bonaventura Tecchi la segnala sulle pagine del "Corriere della Sera" e Mario Soldati scrive che "Claudio Magris ha restituito alla Mitteleuropa quello che, in termini di cultura, l'impero absburgico aveva dato all'Italia". Renate Lunzer, studiosa dei rapporti culturali tra Austria e Italia, in Irrededenti redenti (2009), vede in Magris l'ultimo grande erede di quella cultura triestina perfetto amalgama di elementi germanici e italiani, ravvivati dallo stretto contatto con quello slavo, i cui portavoce furono, tra gli altri, Scipio Slataper, Carlo Michelstaedter (la cui Weltanschauung ha ispirato Un altro mare), Enrico Rocca e Biagio Marin. Si tratta di una tradizione di "irredentismo", inteso quale amore per la cultura italiana, "redento", vale a dire corretto, una volta crollato l'impero, dal recupero dei valori di fondo di quella Austriazität cosmopolita, vissuta con rimpianto da chi si ritrovò di colpo a vivere in un'Italia fascista ben poco favorevole alle ibridazioni culturali. Dopo alcune incomprensioni da parte della critica tedesca, dovute alla traduzione che non riusciva a rendere il legame affettuoso e ironico con l'universo culturale di cui Magris metteva in luce anche tutta la debolezza insita nell'antistorico tentativo di cullarsi nel mito, l'intenso rapporto di Magris con i paesi di lingua tedesca lo porterà a essere considerato non solo uno studioso, ma un diretto erede degli autori da lui coltivati con particolare interesse quali Joseph Roth (di cui ricostruì l'intero contesto di provenienza in Lontano da dove), Musil, Canetti, Kafka, come emerge nello speciale di "Der Spiegel" dedicato agli Asburgo (2009, n. 6). Il massimo coronamento della sua lunga, ricchissima, brillante attività di ponte tra le culture, fautore di valori quali la pace nel reciproco rispetto, possibile solo in base alla reciproca conoscenza, è senz'altro il Friedenspreis, ricevuto nel 2009 a Francoforte nella chiesa di San Paolo, pregnante simbolo delle aspirazioni democratiche della Germania ancora divisa del XIX secolo. La "vena semiclandestina di narratore" verrà alla luce con i romanzi Illazioni su una sciabola e Danubio. Le due opere, frutto delle decennali peregrinazioni attraverso la Mitteleuropa del Magris "metà scrittore e metà filosofo" a detta di Giorgio Ficara, anticiperanno di quasi un decennio la tendenza dominante nella narrativa italiana a partire dagli anni novanta di mescolare il romanzo al saggio. Tutte le opere di Magris, legate alla Mitteleuropa, come afferma Joanna Ugniewska, sua studiosa e traduttrice polacca, "non costituiscono (
) una cronaca del mondo che non c'è più, ma l'esplorazione di una moderna Babele alla ricerca delle origini della nostra crisi, così come delle ragioni della nostra resistenza ‒ non priva di ironia ‒ al grande flusso del tempo". E il senso di perdita dell'assoluto da parte della modernità e la Sehnsuchtche ci induce a riconoscerne l'eco nella grande letteratura è la cifra della poetica di Magris, sottesa a tutta la sua opera di saggista e romanziere. Poco studiate finora (sebbene rappresentate) le opere teatrali. Stadelmann è dedicata al vecchio segretario di Goethe, mentre Le voci si sofferma sulla seducente magia che una voce femminile conosciuta può evocare in chi l'ascolta incisa sulla segreteria telefonica. Il volume, accanto al prezioso saggio introduttivo e a una ricchissima cronologia di Pellegrini, presenta un interessante scritto di Maria Fancelli dell'Università di Firenze sul Magris germanista. Giorgio Kurschinski
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