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Opera. Paesaggi sonori, visivi, abitati. Ambientazioni, drammaturgia del suono e personaggi nel melodramma italiano dell'Ottocento
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Opera. Paesaggi sonori, visivi, abitati. Ambientazioni, drammaturgia del suono e personaggi nel melodramma italiano dell'Ottocento - Sonia Arienta - copertina
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Opera. Paesaggi sonori, visivi, abitati. Ambientazioni, drammaturgia del suono e personaggi nel melodramma italiano dell'Ottocento

Descrizione


Un libro che ripercorre l'opera italiana dell'Ottocento attraverso i suoi libretti. Anzi attraverso, come si legge nel titolo, i paesaggi sonori, visivi, abitati, che in essi stanno, ambientano l'azione. La musica, ovviamente, c'è, ma come punto di riferimento. Il primo piano è dei luoghi, degli spazi, degli ambienti privati e pubblici, come importante trama dei testi, dunque della drammaturgia, su cui la stessa musica si misura. Ma, di conseguenza, anche indicazione di come l'opera – quindi principalmente il musicista – sta nelle questioni della vita, nelle contraddizioni dei rapporti privati e pubblici, nella cultura e nelle sue conflittualità che, dunque, così vengono appunto drammaturgicamente avanti.
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Dettagli

LIM
2011
1 luglio 2011
XII-440 p., Brossura
9788870966398

Voce della critica

Nell'opera lirica lo spazio è costruito anche dal suono, mentre la percezione acustica è influenzata dallo spazio. I rintocchi delle campane notturne (feticcio sonoro verdiano), o la banda che si avvicina, suonano differenti, e hanno funzione differente, se un personaggio li ascolta al chiuso o all'aperto. È diverso se chi canta si trova da solo, o se il suo ambiente è riempito da altri personaggi; se canta con le Alpi di sfondo, se dalle finestre del palazzo si vede il mare o se nella foresta dei druidi trapelano fuochi lontani. Sonia Arienta studia il melodramma dell'Ottocento esaminando l'uso dello spazio, la drammaturgia del suono e il rapporto tra ambienti e personaggi in un vasto campione di libretti e partiture. Non si occupa di scenografia o di mise en scène, ma dei significati simbolici e politici degli spazi: nelle didascalie, che suggeriscono il taglio di inquadratura, la profondità di campo, le condizioni di luce e meteorologiche; e nei dialoghi, qualora esprimano il grado di attaccamento dei personaggi nei confronti dei luoghi. In relazione ai paesaggi visivi, ci sono anche quelli sonori, che danno l'idea della vicinanza e della lontananza, attenuano o aumentano il senso di claustrofobia o di apertura: donde rumori di scena e musica realistica, orchestrine sul palco, singoli strumenti o voci dietro le quinte. Tali effetti, come le famigerate bande verdiane, considerati con sufficienza dai primi critici, fanno parte di una strategia: esercitano una critica all'ambiente, che contraddicono o contaminano; aprono la scena verso l'altrove; creano dissolvenze fra dentro e fuori; introducono un fattore di sorpresa e di disturbo. Terza linea di indagine: la gestione delle presenze, grazie a cui gli autori "definiscono la vivibilità di un luogo, negano o assecondano la sua destinazione d'uso; rivelano la capacità di controllo del territorio". Un conto è chiudersi tra pareti domestiche per sfogare i propri sentimenti; altro è vederle invase dalla folla, senza poter reagire all'intrusione: cosa che in un'opera capita spesso.
Il volume è diviso in tre sezioni: spazi del potere; focolare domestico; territorio. L'ultima comprende esterni urbani e naturali, già studiati da Emanuele Senici per la relazione tra paesaggio operistico e identità femminile (Landscape and Gender in Italian Opera. The Alpine Virgin from Bellini to Puccini, Cambridge University Press, 2005). Anche le musiche di scena sono da tempo oggetto di interesse della drammaturgia musicale, ma il libro di Arienta propone una critica dello spazio in senso ampio e si rivolge a lettori assai vari: spettatori, registi, scenografi, studiosi di musica e teatro. L'assunto è che, nel libretto, ogni dettaglio in apparenza trascurabile si inserisce in un progetto ed esprime una presa di posizione anche ideologica. I compositori scelgono di rimarcare, amplificare o trascurare tali indicazioni, e così, talvolta, commentano il mondo, le sue contraddizioni e l'inconsistenza dei valori tradizionali. Infatti, negli spazi in crisi, o di crisi, si articola una riflessione sul potere, sulla famiglia, sul territorio. Per questo l'autrice, musicologa e regista, considera i testi nei loro interstizi, negli angoli dimessi e nascosti, con una lettura trasversale, oggi provocatoriamente démodée. Non si addentra nell'indagine musicologica, se non per rilevare particolari di orchestrazione, mentre richiama spesso le coordinate storico-sociali del periodo che va dal Congresso di Vienna alla prima guerra mondiale.
Nel passaggio dall'epoca risorgimentale a quella postunitaria la scelta degli ambienti non varia molto, riducendosi a quelli classici: regge, case, luoghi aperti più o meno ameni. Non per mancanza di fantasia, quanto per l'attenzione "riservata a problematiche di una nazione in fieri unite alla denuncia di una società terrorizzata dai cambiamenti". Da un lato spicca l'assenza degli spazi del lavoro, dato il ritardo con cui in Italia si forma il proletariato urbano; dall'altro, nella permanenza di immagini-cardine, talora camuffate, ci sono anche slittamenti di senso spesso sarcastici. La reggia magnifica diventa il salotto borghese, tutto esteriorità, teatralità di arredi e comportamenti, dissimulazione. La critica di Donizetti nei confronti dei luoghi di corte si dissolve nei compositori successivi all'Unità, che definiscono gli ambienti repubblicani con i tratti un tempo riservati alla reggia: quando i lavoratori avanzano rivendicazioni sociali, non è più il tiranno a essere visto in cattiva luce, ma il popolo sobillato dai rivoluzionari, come prova l'atteggiamento tenuto da Giordano e Illica in Andrea Chénier. Il chiostro di La forza del destino è un sostituto domestico inadeguato, perché Verdi parla dell'"inconsistenza di qualsivoglia ruolo rassicurante attribuito alla religione". E la chiesa di Tosca? Alla fine è l'ennesima sala del trono e anche gli altri ambienti dell'opera sono "variazioni 'su misura' dello spazio in cui si muove il sovrano assoluto". Le case, invece, da luoghi protetti e inviolati, nelle opere donizettiane e belliniane diventano gabbie per topi, in cui brancolano i prigionieri di una famiglia "più tirannica e feroce di una monarchia assoluta". Anche la natura perde le connotazioni di libertà e rifugio dell'epoca rossiniana, o quelle di territorio da difendere o conquistare, che aveva nel primo Verdi, per assumere tratti inquietanti, ostili. Gli spazi pubblici "perdono la loro funzione di memoria storica, sostituiti da zone periferiche del tessuto urbano, o rurale": luoghi dell'indifferenza, in cui "il rapporto di amore-odio fra individuo e società sviluppatosi per buona parte del secolo si trasforma in reciproco disinteresse", come il Quartiere latino o la Barriera d'Enfer nella Bohème. In tale contesto si inquadrano anche gli ambienti desueti, come le fogne cittadine in cui finisce il corpo di Iris nell'opera di Mascagni: versione moderna del sotterraneo tombale.
Oltre alla scrittura apparentemente distaccata, ma dalla quale affiora il sorriso della melomane appassionata, uno degli aspetti più interessanti del libro sono i confronti imbastiti tra opere diverse, che evidenziano le variabili nella concezione dello spazio o nelle informazioni date dalle immagini acustiche. Attraverso un vero e proprio fonosimbolismo gli operisti corrodono l'universo aulico dei loro eroi: Verdi richiama i codici del "trionfo del guerriero" per sottoporli una rivisitazione grottesca in Otello, opera in cui il contrasto tra rumore e silenzio è rovesciato rispetto all'omonimo capolavoro rossiniano. Nella scelta dei confronti si formano strane coppie: Lucrezia Borgia e La traviata, La donna del lago e Un ballo in maschera. Articolate nella dimensione diacronica, osservazioni che sembrerebbero meno pregnanti, se condotte in relazione a un unico esempio, si rivelano davvero acute: ad esempio, quelle sulla forte connotazione rumoristica dello spazio nelle opere comiche e la "valenza costruttiva e liberatoria" del rumore in Rossini; o sugli organici di palcoscenico durante festicciole e ricevimenti nelle "regge domestiche", i quali diventano "orchestrine del Titanic pronte ad allietare catastrofi imminenti".
Marco Emanuele  

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