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Kostas Kariotakis, morto suicida nel 1928, amò presentarsi, a quanto pare fino dagli anni di scuola, come "un vecchio", secondo i termini con cui si propone al lettore in A mio fratello. Le sue liriche, tradotte da Pontani, sono un diario verso l'estinzione, sempre allo stesso tempo sognata e temuta. Non per caso Leopardi fu un termine di confronto per lo scrittore, che gli dedicò una lunga ode, oggi perduta; nelle sue poesie risuona un pessimismo amaro, che talvolta si fa perfino aggressivo con lampi improvvisi di sarcasmo e talaltra diviene invece momento di ripiegamento. Tema del suo lavoro è senz'altro "il dolore dell'uomo e delle cose", come recita il titolo della sua prima plaquette pubblicata nel 1919, ovvero l'esplorazione degli aspetti oscuri dell'esistenza. Malgrado la passione per gli autori più flamboyants, quella di cui dà conto nella notevole Ballata per i poeti senza gloria di ogni tempo, la sua ricerca mette tra parentesi l'aspirazione a una condizione di maudit. Egli si presenta certamente come segnato da una differenza esistenziale, ma non c'è un desiderio dichiarato di autoaffermazione sub specie artistica, quanto piuttosto una volontà di fissare l'abisso, come nella crudele Ottimismo, scritta nell'esilio di Prèveza, non amata città dell'Epiro in cui era stato inviato dal ministero della Sanità. Il volume edito da Crocetti, che continua il suo impegno nella proposta dei protagonisti della cultura greca novecentesca, propone una voce notevole, finora presentata solo marginalmente in Italia.
Luca Scarlini
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