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È significativo che questo libro veda la luce sotto l'egida del Gabinetto Vieusseux che, per tradizione, nei rapporti fra culture e nei viaggi (lo ricorda Maurizio Bossi) ha avuto alcuni dei suoi punti di forza. E lo è pure il fatto che si tratti del frutto di un lavoro di ricerca svolto dall'autore nel Dipartimento di scienze del linguaggio e letterature moderne e comparate dell'Università di Torino, e che la ricerca si fondi, come ha scritto Franco Marenco, sull'esame di "moltissimi autori in almeno sette lingue".
È un fatto che la letteratura di viaggio, a differenza di qualche decennio fa, in cui poteva sembrare ancora una faccenda di pochi studiosi, è diventata oggi un terreno di studi sul quale sono in molti a esercitarsi. Se si vuole, è diventata anche una moda, che stimola l'espressione sia di astrazioni teoriche sia di problematiche di grande spessore e di analisi colte e funzionali. Questo libro ha molti e diversi pregi: usa la teoria in modo non separato dai dati di fatto, dall'analisi dei testi; è colto, di una cultura che permette di procedere a collegamenti con discipline e settori di indagine diversi; mette a fuoco i problemi in modo chiaro e ne offre prove e supporti; è piacevole da leggere; intende offrire "una panoramica delle questioni teoriche che riguardano la letteratura di viaggio contemporanea" e proporre "una tipologia delle strategie impiegate dai suoi autori". E ciò per evitare l'uso di "categorie totalizzanti" che non riuscirebbero "a venire a capo della sua molteplicità".
Bisogna anche dire che il volume presenta una simmetria di struttura precisa e ordinata per cui, a un primo capitolo su problemi di metodo, seguono altri quattro, dedicati alle diverse forme e tecniche della rappresentazione del viaggio dopo che il turismo sembrava averne decretato la fine e avergli sottratto molta parte del valore conoscitivo, di avventura, di ricognizione dell'identità. Convinto del fatto che "la letteratura si costituisce attorno a piani di discorso ricorrenti, che accomunano i testi da un punto di vista che non è solo tematico né solo formale", Marfé organizza autori e strategie dell'antiturismo in capitoli che riguardano, rispettivamente, Il collezionismo erudito, Il metaviaggio, Il dépaysement, L'antiturismo politico:modi diversi per sfuggire agli effetti dell'appiattimento, per recuperare la benjaminiana "saggezza del lontano", per mettere a fuoco delle "strategie di rappresentazione in grado di descrivere la realtà in modo originale". Ognuno dei capitoli è articolato in una sorta di ampia ricognizione generale di autori e testi, e da due articolate analisi di altrettanti scrittori che si prestano a essere un po' esempio e un po' paradigma del settore considerato: piccole monografie che appaiono come dei concentrati saggistici che si allargano dal tema specifico di questo libro a una storia più generale dello scrittore, con grande dovizia di informazioni anche bibliografiche.
Ogni capitolo meriterebbe una discussione a parte per la ricchezza di prospettive di lettura che vi sono contenute. Basterebbe ricordare, fra tutte, le pagine puntuali su Magris, Sitwell, Bouvier, Chatwin, Primo Levi, Sebald, Cela, Kapuscinski. E, insieme, andrebbe sottolineata la grande complessità problematica del capitolo finale (Dall'antiturismo ai controviaggi dei migranti), dove vengono analizzati i "countertravel books" di scrittori "di origine extraeuropea che hanno sottratto agli occidentali il monopolio dei viaggi, raccontando il percorso della propria emigrazione in Europa" e il diverso modo di percepire percorsi visti finora con gli occhi dei turisti; e la conclusione (Letteratura di viaggio e mediazione evanescente), relativa a scrittori europei che hanno scelto la via dell'opposizione al paradigma dell'eurocentrismo, ragionando, tra l'altro, sul peso che, in ciò, può avere la letteratura di viaggio intesa come mediazione e comunicazione tra culture, come considerazione della mobilità e provvisorietà dei confini in rapporto alla "definizione dell'identità di un luogo", come coscienza che l'esotico non va più cercato "oggi in impossibili antipodi ancora da esplorare", ma che "si cela molto più vicino, nelle periferie più degradate d'Europa, nelle sue campagne in via di spopolamento, nell'anonimato dei nonluoghi".
Perciò, non la fine dei viaggi ma un altro modo di viaggiare, che Marfè sintetizza in modo chiaro: "La sfida della letteratura di viaggio di domani implica la convinzione che l'estetica dello sguardo assoluto vada sostituita con una che ricostruisca i rapporti tra la mappa del mondo e quella dell'identità di chi scrive". Un viaggio dentro i viaggi di oggi, questo di Marfè, effettuato con sguardo attento e sereno, problematico ed equilibrato, aperto e fermo. Elvio Guagnini
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