Negli ultimi anni, le strettoie in cui è stato confinato il dibattito pubblico sul welfare paiono aver cristallizzato la discussione attorno a due assi: l'asserita impossibilità di finanziare adeguatamente le prestazioni sociali e, senza soluzione di continuità, l'inesorabile venire meno del "pubblico" quale effettivo garante di ultima istanza dei diritti sociali. Al venir meno delle condizioni storiche che avevano propiziato lo sviluppo dello Stato sociale nel secondo dopoguerra - in ragione della crescente complessità delle istanze cui rispondere - si è assistito al consolidamento di una pluralità di attori che hanno progressivamente occupato il dominio politico-simbolico che fino a quel momento era stato proprio a un solo attore (lo Stato), come ad esempio la cooperazione sociale e il welfare aziendale (ma non solo). In questo quadro, molta attenzione è stata per ciò dedicata all'evoluzione del cosiddetto "secondo welfare" e all'analisi dei diversi attori che ad esso stanno conferendo forma; di qui, l'articolarsi di proposte di welfare variamente definite. Di fronte all'esplodere delle disuguaglianze sociali che sta caratterizzando soprattutto le società mature, però, una inavvertita e frammentata moltiplicazione delle risposte da parte di attori non convergenti rischia di potenziare ulteriormente le "linee di faglia", anziché affrontarle. I saggi, infatti, si interrogano sui diritti sociali quale categoria fondante radicata nella Costituzione repubblicana, pur non sottovalutando la necessità di ripensare lo Stato sociale alla luce dei mutamenti nel frattempo intervenuti. Ciò risulta ancora più evidente a seguito dell'esplosione globale della crisi pandemica legata al Covid-19 di cui tiene conto il saggio introduttivo e corale che apre il volume.
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