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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2022
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Se si dovesse dire qual è il testo mistico più intenso, compatto e puro dell’Occidente, La nube della non conoscenza sarebbe senza dubbio uno dei candidati più plausibili. Non meraviglia dunque che Aldous Huxley scrivesse: «La Nube e alcuni sermoni di Eckhart sono le cose più preziose che ci sono giunte dal Medioevo». Composto verso la fine del Trecento da un anonimo inglese in forma di manuale indirizzato a un giovane novizio dell’attività contemplativa, capolavoro di immaginazione e di stile, a un tempo incisivo e duttile, ironico e terso, denso e rarefatto, La nube della non conoscenza delinea quella paradossale via negativa che, da Dionigi l’Areopagita a Molinos e Caussade, attraversa tutta la nostra storia come un supremo azzardo. Per giungere all’assoluto in questa vita non serve l’intelligenza raziocinante, ma una «nuda tensione» verso Dio, un «piccolo, cieco impulso d’amore»: il vero contemplativo entrerà nella nube della non conoscenza come vi entrò Mosè quando salì sul monte Sinai per parlare con il Signore. Dovrà dimenticare tutto – passioni, peccati, perfino i pensieri più santi – in una «nube d’oblio», e colpire col dardo affilato dell’amore ardente la nuda essenza divina.
Abbagliante nella descrizione del bubbone del peccato, solidificato e saldato alla nostra sostanza, ferocemente ilare nel ritrarre i falsi contemplativi, che, ciondolando il capo e gesticolando con le mani, guardano sempre in alto a bocca spalancata quasi volessero fare un buco nel firmamento, l’ignoto autore della Nube consegna al lettore un salutare ammaestramento: chi davvero vuole intraprendere l’attività contemplativa dovrà rimanere – come la sorella di Marta, Maria, quando aveva Gesù dinanzi a sé – immobile e silente, quasi fosse in un sonno simulato, tutto assorto e immerso nel dolore e nella quiete del proprio essere. Soprattutto, spogliandosi di ogni conoscenza specifica, dovrà mirare al «nessun luogo» che è il vero dovunque, e al nulla che è Tutto.
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Per una visione alternativa dell'atto della conoscenza. Dove tutto è negato Dio si rivela.
Marta e Maria. La vita attiva e la vita contemplativa. Marta si affaccenda, Maria sta ai piedi di Gesù e lo contempla. Marta si lamenta con Gesù: Marta non sta facendo niente". Gesù risponde: " Marta, Marta. Tu ti agiti troppo e ti preoccupi per molte cose... Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta". In tal modo la vita contemplativa viene posta ad un livello superiore rispetto a quella attiva, pure importante. Si può accedere alla vita contemplativa in virtù della grazia divina e Dio la concede " come, dove e quando gli piace, all'anima che egli preferisce, senza alcun merito di quella stessa anima". Il massimo livello che si può giungere nella contemplazione di Dio è la nube della conoscenza: " Sì, la pensi come vuole: sempre troverà che è una nube di non conoscenza fra lui e il suo Dio". San Dionigi disse: " La conoscenza più divina che si possa avere di Dio è quella che si acquista attraverso la non conoscenza".
Recensioni
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"Nessuno si pensi presuntuoso se, miserabile più di tutti i peccatori della terra, osa – dopo aver corretto se stesso e dopo essersi sentito chiamato alla vita contemplativa, e con l’assenso del suo consigliere spirituale e della propria coscienza – offrire a Dio un umile impulso d’amore e assalire in segreto la nube della non conoscenza fra lui e il suo Dio". L’"umile impulso d’amore" di cui parla l’anonimo compilatore inglese della Nube della non conoscenza, un testo mistico della fine del Trecento scritto nel dialetto delle Midlands centro-orientali, è una forte, dolorosa, aspirazione ad amare Dio (ancor prima di desiderare di essere amati da lui). L’autore della Nube – ora tradotta con grande competenza linguistica e squisitamente annotata daPiero Boitani – sceglie fra i possibili esempi quello di Maria di Magdala, probabilmente assimilata, come già altri avevano fatto, alla figura di Maria, sorella di Marta e di Lazzaro. E lo fa con un’intensità che balza fuori dall’impianto teologico del trattato attraverso un guizzo struggente di fede, per ricordarci che "certo Maria provava gran dolore e piangeva amaramente per i propri peccati ed era resa umile dalla propria miseria" ma ancor più soffriva, sino quasi a morirne, per la "mancanza d’amore". Dunque, in quello spasmo, ella si preoccupava ben più di un’assenza che della presenza dei suoi peccati; e così facendo si elevava dalla "fetida palude e dal letamaio" in cui era finita conquistando l’alta "statura del desiderio". E il motivo dell’assenza, così centrale nella Nube, che poggia su un complesso, quanto intrigante, gioco di narrazioni in negativo, si associa qui alla riconquista del desiderio di ciò che Maria "in questa vita non avrebbe mai potuto vedere con il lume dell’intelletto nella propria ragione". Ma da dove deriva l’immagine (e la metafora) della nube? Come ricorda Boitani nella nota finale, Mosè venne chiamato da Dio sul monte Sinai mentre stava "nella caligine di una nube". Non solo, ma la presenza di questa formazione oscura caratterizza ancora, allo scadere del settimo giorno, il luogo pubblico della teofania, sicché sarà ancora Mosè, chiamato a partecipare di quella "sostanza divina", a immergersi per quaranta giorni nel suo mistero (nella sua "inconoscibilità") per ottenere i ragguagli sulla costruzione dell’Arca. E la sua mente, nella lettura data poi dallo Pseudo-Dionigi nel De mystica theologia e da Riccardo di San Vittore nel Beniamino maggiore, risulta così assorbita dal bagliore infinito della luce divina da cadere in uno stato di oblio, che è "non conoscenza di se stessi". Su tale linea, dunque, si muove questo agile testo contemplativo, così ben inserito nella tradizione mistica del suo tempo che unifica, nel contesto del XIV secolo, autori come Caterina da Siena, Christina Ebner, Marguerite Porrete, Jehan Gerson, Antoni Canals e, in particolar modo, gli anglosassoni Richard Rolle, Walter Hilton e Giuliana di Norwich. La Nube della non conoscenza, la cui diffusione fu davvero rilevante se ci sono rimasti ben 17 manoscritti, è un libro contemplativo diviso in 75 capitoletti.La sua struttura è chiaramente circolare e nel finale vengono riprese parti del prologo, mentre risulta ulteriormente ribadita la sua sostanziale imperfezione espositiva. E naturalmente il suo autore, che si rivolge a un "aspirante all’attività contemplativa" dell’età di 24 anni, vi ribadisce più volte il concetto fondamentale dell’impermeabilità di Dio alla conoscenza; un’impermeabilità che, però, può essere aggredita, assalita, diradata proprio dall’impulso d’amore verso di lui. Infine, tra le varie forme di contemplazione presenti nella Nube vale la pena ricordare quella, assai ingannevole, indotta dallo "sforzo delle facoltà del corpo che prevalgono su quelle dello spirito". Qui, con un vivido riferimento alla negromanzia, l’autore trencentesco ci fornisce una delle più bizzarre – e inquietanti – descrizioni del Demonio, visto come maestro di "pecore impazzite, donne dissolute, buffoni burlanti, prelati indaffarati e lerci di lussuria, discepoli dell’Anticristo". Egli, al colmo della sua tracotanza, mostra la sua unica, immensa narice, che permette di osservarne il cervello, che altro non è che la visione del fuoco dell’Inferno. E subito dopo aggiunge, con un curioso riconoscimento degli occultisti "buoni" che suona come una concessione a una sorta di sperimentazione autorizzata dalla Chiesa: "Ma il perfetto apprendista di negromanzia sa bene tutto questo ed è in grado di controllarlo in modo che non gli porti danno". Renzo S. Crivelli
scheda di Crivelli, R.S. L'Indice del 1999, n. 07
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