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Novelle crudeli. Dall'orrore e dal grottesco quotidiani - Francesco Cusa - copertina
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Novelle crudeli. Dall'orrore e dal grottesco quotidiani
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Novelle crudeli. Dall'orrore e dal grottesco quotidiani - Francesco Cusa - copertina

Descrizione


Stimati professionisti schiavi del delirio consumato nel segreto dei propri appartamenti, donne sadiche e vendicatrici che trasformano l'omicidio in virtù, vite stravolte da logiche subumane e percezioni allucinate che non possono avere un lieto fine. Con ironia, stupore e malcelato disgusto, il narratore ci porta al centro di un inferno fatto di piccole tragedie domestiche dai toni splatter, morbosità patologica dei rapporti interpersonali e ripugnanti legami di parentela che possono tormentare sino alla follia. I personaggi di Cusa sono guidati da meccanismi mentali deformi, esseri mostruosamente banali che solo nell'incoscienza e nella morte si riscattano da un'esistenza apatica. L'autore usa il fantastico, l'horror più macabro e il surreale per raccontarci ciò che di più basso smuove i vizi, gli istinti e le morbosità dell'uomo contemporaneo. Cinico e impietoso ci descrive un'umanità malata incapace di redimersi.
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Dettagli

2014
5 maggio 2014
304 p., ill. , Brossura
9788898644032

Voce della critica

"Guido Pistocchi aveva letto L'Aleph di Borges. E ovviamente si era convinto di aver trovato nella parola "morte" una sorta di quintessenza spirituale, di sigillo, di porta (…) che nell'iterazione ossessiva di un lemma potesse darsi una qualche forma di conoscenza ultraterrena, o comunque estrinsecarsi un barbaglio di mistero". C'è poco dell'orrore e del grottesco quotidiani in questi racconti, brevi e smisurati al tempo stesso, che sin dal titolo vogliono strizzare l'occhio a Edgar Allan Poe. Tuttavia ciò che conservano del genio americano, a parte i soggetti e la visionarietà febbrile, è un certo maledettismo esasperato (come se un Poe meno acuto e riflessivo si fosse deciso a lasciarsi andare all'assunzione di sostanze psicotrope). Ne vengono fuori storie surreali e fantastiche, i cui personaggi, spesso vittime di loro stessi, delle proprie passioni e della propria ferocia, si muovono disinvoltamente nello spazio del racconto tra vizi assurdi e perversioni. Un campionario di storie di menti alienate, di uomini e donne ritratti nell'istante di accedere al momento estremo di una rivelazione, declinata nella forma radicale della morte e ancor più in quella ripugnante della follia. E il cui riscatto dalla condizione di miseria avviene solo con la parola fine. Ogni forma di oscenità e di orrore preumano sono sondati con una "caratteristica mercuriale", vivace ed eccessiva, dall'autore. I toni sono infatti quelli dello splatter e di una ironia cinica che serve a distanziare la voce dal racconto. La scrittura è disomogenea per scelta, eppure paradossalmente risiede in essa il gradiente di godibilità del libro. Cusa, che è soprattutto un musicista jazz, ha scelto la forma narrativa, con le sue leggi e i suoi codici, come uno spazio in cui operare una personalissima sperimentazione, un'improvvisazione solitaria e disturbante. Lo stile a tratti baroccheggiante si strema a volte in un lirismo dadaista. I testi diventano così dei pezzi naif e selvaggi, dall'andamento sbilenco e zoppicante, come improvvisazioni musicali, vivi di una scompostezza stilistica che corrode la struttura del racconto o tende il filo della trama senza paura di spezzarlo, o di farlo eccedere. "La mia gola è un'immensa cascata nera di bianco", ci rassicura l'autore.   Alfredo Nicotra  

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