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Meno noto tra noi di Nazim Hikmet, che fu da giovanissimo suo discepolo, Yahya Kemal (Skopje, 1884 - Istanbul, 1958) è una figura di grande interesse, tanto per il valore intrinseco della sua poesia, quanto per il ruolo di straordinario mediatore che svolse tra la Francia di Verlaine, di Mallarmé, di Péguy e una Turchia in fase di intensa modernizzazione, tesa alla tormentata riconquista di una problematica identità culturale. Da Parigi, dove studiò tra il 1903 e il 1912, Kemal riportò in patria un ampio ventaglio di suggestioni poetiche (da Baudelaire a Leconte de Lisle, da Heredia, a Banville, a Moréas) e di orientamenti concettuali: Michelet e Barrès, con le loro ben diverse definizioni della continuità profonda dello spirito francese, saranno simultaneamente presenti nella sua ricerca delle molteplici radici (classiche, persiane, islamiche) di una tradizione nazionale intenta alla riscoperta della propria grandezza. Questa edizione italiana presenta tre gruppi di testi poetici, in cui l'autore stesso volle disporre, negli ultimi anni di vita, una parte della propria produzione; l'ordine cronologico, da lui volutamente scompigliato, può essere ricostituito grazie alle informazioni fornite in nota dal curatore. La "celeste cupola" del titolo è quella del vasto cielo che sormonta, in un'alba di festa solenne, la moschea di Solimano a Istanbul; sotto la sua volta, di cui l'architettura umana replica lo splendore, si fondono il fervore dei vivi e le memorie di antiche vittorie, mentre svanisce il "sipario polveroso" dei secoli di servitù e decadenza. Ma il registro patriottico-celebrativo non è certo l'unico presente. Non mancano i momenti lirici, gli incanti di un paesaggio filtrato attraverso eredità poetiche discordanti, i versi d'amore: "Così in Istanbul va la primavera, / Così guizzò in passione quell'incontro / Che ci ammaliò per lune dentro un sogno: / Volta di cielo in Erenkôy, io credo, / Giammai vedrà più tanta primavera".
Mariolina Bertini
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