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Anno edizione: 2018
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Il sentito dire non è paragonabile alle storie vere e drammatiche che accompagnano le genti che si spostano, come sempre nei tempi è stato fatto, le loro peripezie e sofferenze. L'Europa dei popoli dimentica troppo facilmente e ha bisogno di accorgersi che in molti luoghi non c'è il giorno della memoria perchè è nella vita quotidiana che non vivono .
Libro molto duro ma che tutti dovrebbero leggere, per sapere quello che succede in Libia, cose di cui siamo tutti complici. Sicuramente l'immigrazione è un problema complicato ma la risoluzione non può essere rinchiudere i migranti in campi di concentramento e torturarli. Leggetelo!
Un libro molto crudo ma che fa riflettere sullw situazione di migliaia di disperati
Recensioni
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Hamed, Segen, Ahmed, Samir, Abbas, Sahel, Herina, Maryam, Milet, Osedyane, Albayomi: sono i nomi dei ragazzi le cui storie vengono raccontate in questo libro. Sono dei ragazzi, alcuni adolescenti, gli altri ventenni o poco più (...). Il dibattito pubblico, è talmente focalizzato, su se e chi debba accoglierli, per distribuirli in quali proporzioni, che le emozioni provocate da un libro come questo possono concederci l’opportunità di tornare ad essere società civile e di ritrovarci intorno a un imperativo minimo e possibile: non lasciamoli soli (...).
Si raccontano storie di violenze e di riduzione in schiavitù. Il pericolo, per questa nuova generazione di migranti, non viene solo dal mare. Non sempre i viaggi vanno a buon fine. Ci si può imbattere in trafficanti e si diventa merce umana: merce di scambio, da vendere come forza lavoro o da rinchiudere, fin tanto che non si ottiene il pagamento di un riscatto. Il viaggio si trasforma. Se non sei in grado di reggerlo un colpo di pistola mette fine alla tua storia lasciandoti nel deserto. Se arrivi a destinazione non sai ancora cosa ti aspetta. Il libro ce lo racconta, con una crudezza indispensabile. Segen non ce l’ha fatta, è morto di stenti poco dopo il salvataggio. Gli altri sono sopravvissuti e raccontano. Sono tremende le storie di tutti, non può esistere una graduatoria del dolore.
Ma lo sconcerto è totale quando si legge della violenza consumata dapprima ai danni di una donna, davanti agli occhi della figlioletta di quattro anni e poi su quest’ultima. E l’orrore non è ancora finito: l’esito sarà ancora più estremo. Anche dei nuovi campi di detenzione ci sono dei nomi: Beni Walid, il Ghetto di Alì, Berk. E forse un giorno questi luoghi diverranno famosi, quando abili registi sapranno ricostruire e raccontare, lasciando gli spettatori con le solite, ricorrenti domande: ma com’è stato possibile? Dov’era la gente? Perché nessuno ha impedito questo orrore? Sono storie di razzismo, perché c’è sempre qualcuno con la pelle più nera. Ma sono, soprattutto, storie di criminalità organizzata, anch’essa globalizzata (...).
Le storie di chi parte non sono solo storie di violenza. Il libro ci racconta anche di Mohammed e Ahmed, che su un piccolo gommone ci sono saliti da soli, affrontando il mare aperto, per portarsi dietro il fratellino Alì, con la flebo attaccata al braccio, nella speranza di trovare in Europa una cura adeguata alla sua grave malattia. Solo le Ong presenti hanno potuto salvarli dalle onde. E davanti a questa storia ti chiedi che senso possa avere il violento attacco sferrato proprio contro le Ong e che senso possa avere distinguere tra migranti economici e rifugiati politici. Eppure questo è diventato il linguaggio dominante. (...)
Recensione di Marisa Meli
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