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E' un genere questo che non viene molto apprezzato perchè spesso si ritiene troppo pesante. Io ho 20 anni e di solito si pensa che una ragazza non legga libri di psicologia e sociologia. Nel mio caso, invece, li leggo eccome. Questo non è il solito libro noioso e poco utile. Lo comprai quando ero nel pieno dell' adolescenza e mi sentivo inadeguata a molte situazioni. Lo iniziai e lo abbandonai per pura stupidità (lo credevo poco utile). Un anno fa invece lo ripresi e sfogliandolo tra le mani capiì quel che valeva. Divenne la mia tesina della maturità e mi coinvolse talmente tanto che presi il massimo all'esame. E' un libro che consiglio ai genitori, che avrebbero uno spunto per riuscire a capire di più i figli e a non giudicarli solo per i loro comportamenti "anormali", ma anche per i giovani che leggendo questo libro, si sentiranno finalmente compresi. Capiranno che molte volte il loro senso di disagio è dovuto a fattori esterni e non a loro. E' sorprendente come Crepet riesca a dare un senso a ciò che per i ragazzi può sembrare insormontabile. Scorre velocemente e non è per nulla pesante nonostante gli esempi riportati e le tematiche che vengono affrontate.
Recensioni
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"Sono liberi di sognare i nostri bambini e i nostri ragazzi? C'è qualcuno disposto ad ascoltare la loro creatività?"
Non è un saggio voluminoso e "importante". Non si presenta con la sicurezza e la prosopopea di un manuale. È un libro economico e sottile, dall'aspetto "modesto". Ma in realtà è un prezioso testo, denso di considerazioni ed esperienze che ne fanno davvero uno strumento importante per genitori ed educatori. Conosciamo davvero i nostri figli, ci interessiamo seriamente a loro, o dobbiamo imputare anche a noi quei difetti che tanto "scarichiamo" sugli adolescenti: immaturità, egoismo, irresponsabilità? Non siamo più in grado di svolgere la nostra professione di genitori e siamo circondati da educatori che, come noi, hanno perso il senso della propria funzione e fraintendono sempre più il significato di termini come maturazione, preparazione alla vita, indipendenza. Pensiamo che offrire loro una scuola elitaria, competitiva, a tempo pieno (non a caso Crepet paragona i piccoli "reclusi" di uno di questi istituti, pubblico o privato che sia, ai piccoli operai di cinquant'anni fa) sia il migliore modo possibile per facilitarli nella crescita. E non ci rendiamo conto che, invece, non solo demandiamo ad altri ciò che non abbiamo più voglia di insegnare noi, ma che deresponsabilizziamo i bambini e i ragazzi, privandoli di quella parte della giornata dedicata al gioco autonomo, all'attività sportiva "autogestita" (piscine, campi sportivi prevedono ormai sempre un allenatore che detta le regole), all'isolamento, spesso necessario per una crescita equilibrata. Perché socializzare a ogni costo? Per quale motivo la nostra società richiede ai giovani una continua interrelazione anche forzata e non ammette momenti di solitudine o di crisi? "Molti adulti non vogliono capire che isolarsi è spesso indice di maturità, di una crescita particolare e anticipata al punto da far sentire a quel bimbo e a quell'adolescente tutta la banalità della vita dei loro pari".
Educare è faticoso. Bisogna indirizzare, coinvolgere, stimolare e anche saper dire di no. Meglio parcheggiare bambini e adolescenti, per non doverli ascoltare, per non dover rispondere alle loro richieste (spesso non formulate espressamente). È difficile abituarli alla paura o all'inesorabile convivenza con la noia, prepararli ad affrontare l'idea della morte, convincerli con autorevolezza della necessità di un comportamento positivo. È facile dire a un bimbo "fai come ti pare", ma il genitore che pronuncia questa frase (sempre più diffusa) non può che essere un immaturo un po' incosciente, tormentato dai sensi di colpa per la sua assenza, per l'eccessivo impegno lavorativo, per l'incapacità di rinunciare ai propri divertimenti per dedicare più tempo ai piccoli. Probabilmente sarà un adulto che cercherà di "tamponare" queste carenze con doni materiali, spesso inutili. È comunque un genitore che non si rende conto di quanto questo atteggiamento possa essere dannoso per il figlio.
Parallelamente Crepet denuncia carenze e problemi della scuola, che causano ripercussioni gravi sull'iter formativo dei ragazzi. A partire dall'alta percentuale di abbandono scolastico, per finire alla disorganizzazione personale e collettiva. In realtà anche nella scuola dovrebbe trovare posto la complessità del sociale, comunicata non come una "verità calata dall'alto", ma come una "conquista dei ragazzi", fatta attraverso la partecipazione e il confronto. Non premiando la mediocrità e puntando solo su questa forma di omologazione ("una sufficienza stiracchiata in matematica o in inglese" è più importante di un talento eccezionale in un'altra materia) si può costruire una società più equilibrata e felice. Forse si può anche prevenire, almeno in parte, quella ricerca dell'emozione estrema, del pericolo, della vita vissuta "sul filo del rasoio" cui molti giovani oggi si dedicano, almeno nel week-end.
Impegno, tempo ben sfruttato, studio, lavoro. Questa macchina sociale ossessionante che lascia poco tempo al superfluo sta diventando obsoleta. "il futuro potrebbe portare al definitivo tramonto dell'homo faber. Rimane la questione: chi lo sostituirà? Se non sarà più il lavoro a dire dell'identità, cosa ci definirà? E come potremo aiutare i nostri figli a inserirsi al meglio in questa nuova società tutta in via di definizione?" Forse mettendoci in discussione in prima persona, rivedendo con senso critico atteggiamenti che non sono corretti perché adottati dalla maggioranza, ma semplicemente ottusi e conformisti. Molto possono fare anche le istituzioni pubbliche e le amministrazioni locali, ma la famiglia non può delegare tutto all'esterno.
La nostra epoca è, tutto sommato, tra le più felici della storia dell'uomo (naturalmente riferendoci ai paesi occidentali e all'Italia in particolare). Le generazioni precedenti hanno dovuto convivere con guerre, epidemie, miserie, distruzioni che per noi sono solo un ricordo. Anche questo deve essere comunicato con ottimismo ai ragazzi, in modo che apprezzino la loro privilegiata situazione storica e possano avvicinarsi all'idea di "felicità".
L'importante è sempre e comunque comunicare. E saper ascoltare, per non fare un monologo sterile, ma per aprire un dialogo, che porti all'autonomia e alla maturazione. "Amare significa veder crescere, amare la dipendenza è solo esercizio di egoismo. Insegnare autonomia significa dunque educare a vivere".
A cura di Wuz.it
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