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In realtà è verissimo che in Italia non si parla quasi mai dei crimini del comunismo: la letteratura al riguardo esiste ma è iperspecialistica e pubblicata quasi sempre da case editrici minori. Già negli anni Venti-Trenta esistevano racconti di esuli russi a proposito della violenza quotidiana, spicciola (aggressioni teppistiche, omicidi, torture, stupri verso gente comune, non verso chissà quale pezzo grosso, percepita come odiosa solo perché più civile e istruita della plebaglia), in Russia a partire dal 1917.: ma tutto ciò venne rimosso grazie alla propaganda comunista staliniana. Ciò che però sfugge a Falanga è che i comunisti non "lottavano contro le ingiustizie", come ingenuamente riporta (e chi decideva che cosa fosse giusto e che cosa no? Ammazzare il cosiddetto o presunto nemico di classe era giusto?): lottavano per impadronirsi del "Potere", con tutto ciò che ne consegue anche in termini etici. Chi non concepisce la vita come lotta per il Potere e mossa da istinti materiali non può riconoscersi nel comunismo. E gli operai nei Paesi comunisti vennero rapidamente sfruttati, come la Polonia insegna. Quanto al militante comunista italiano tipico, in genere credeva che in Russia vi fosse una sorta di paradiso terrestre. Quando al tempo di Gorbaciov si capì definitivamente la realtà, molti militanti si arrabbiarono: "I nostri capi sapevano tutto e ci hanno ingannati".