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Personalmente la trovo scritta male. Oltre al fatto che l'autore scrive cose offensive senza senso tipo ''Paccottiglia da femmine, ammennicoli.'' in riferimento agli specchi della figlia di Malatesta, Gemma. E ancora, poche righe dopo, ''Si guardava in quello specchio da signorina...''. Mi chiedo che senso abbia? Cosa aggiunge al racconto della vita di Malatesta? Affermazioni simili si possono incontrare più volte. Percepisco un disgusto per il femminile, che non rende facile la lettura. Infine, lo scrittore sembra quasi che sappia cosa pensasse Malatesta, il ché rende il libro ancora più illeggibile. Le uniche parti belle ed interessanti sono quando vengono riportati gli scritti di Errico Malatesta. Soldi spesi male.
L'Autore sceglie di rievocare la vita di Malatesta a partire dalla fine: l'anarchico più temuto da tutte le questure del Regno ormai attaccato alla bombola d'ossigeno, incapace di muoversi dal suo domicilio coatto di via Andrea Doria a Roma e sorvegliato a vista dalla polizia fascista. Nessuna biografia romanzata, per fortuna: Giacopini opta per una potente e affettuosa introspezione nei pensieri del grande vecchio, tra disincanti e orgogliose conferme. Scorre così la storia dell'anarchia tra la fine dell'Ottocento e i primi anni Trenta, dove la lettura procede con piacere nella scrittura raffinata dell'Autore.
Libro scritto davvero bene che ripercorre le vicissitudini di Errico Malatesta, uno dei più lucidi esponenti dell'anarchismo otto-novecentesto
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