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Non è forse un caso che oggi alcuni dei maggiori filosofi politici siano eredi di Lacan. Tra loro Jean-Claude Milner, forse il più originale tra i pensatori francesi della generazione di Badiou e Nancy.
I nomi indistinti è il suo libro decisivo. Un breve, denso trattato scritto nello stile più personale intorno a un'unica domanda: è ancora possibile un gesto linguistico e politico all'altezza di quel che Lacan chiamava il Reale?
Filosofi, matematici, logici e poeti hanno sempre sognato una lingua pura e chiaramente distintiva; ogni società, d'altra parte, si è organizzata intorno a segni persistenti e visibili a tutti, da cui ha tratto ragione e legittimità. I nomi di Lavoro, Storia, Razza hanno di volta in volta richiesto e assecondato i sistemi di potere.
Se le pretese linguistiche hanno conseguenze tangibili, Milner appresta un dispositivo capace di smascherarle e contrastarne gli effetti. Contro il fallimento e la rassegnazione, egli rivendica la stessa precarietà dei nomi e delle azioni: "non un istituzione, dunque, né una libertà formale, né una patria, ma l'eventualità del loro annientamento".
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