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"Entro stanco in casa,/ il mio maggiordomo è il silenzio...". Una voce di timidezza che accosta le cose amate, le libera, le celebra come in uno stupore sempre rinnovato, come uno sgocciolio di gratitudine che pian piano percorre i giorni. Può partire da poco il poeta, da un sogno come da una palma, dalla risacca e dal naufragio, perché la stessa cosa ha sempre due movimenti, e alla fine il verso penetra fra i solchi del dire come brezze obbedienti al soffio che le agita, sia esso d'addio o di speranza, è lo stesso: "Gli ultimi ormeggi al silenzio/ sono quelli che stiamo allentando ora,/ tu nella tua riva, io dalla mia (e il telefono è il molo),/ e ormai nulla impedirà che la nave abbandonata/ del nostro abbraccio rimanga alla deriva/ in lontananze di sola memoria.../Porto di Gennaio senza attracchi è la notte;/ il mio cuore, fazzoletto di nostalgia". Il passare, l'alito di vecchie frette disattente ormai adagiato fra grotte di ricordo, il nervo delle attese, i flussi del momento, pagine di tempo stentate e indenni nel canto di una voce che prova a incontrarle, a scheggiarne l'errore, a farne tesoro. Troppo lunga per ricopiarla, ma degna dei fasti di una bellissima antologia, consiglio di leggere e rileggere "Il libro che ci salvi", una poesia perfetta dove il non giunto, il nascosto, il mai avuto, dicono alla fine assai più che i treni presi e le rotte note; è un'elegia del desiderio tradotta in autentica armonia: "Il libro che ci salvi non si trova/ in una biblioteca frequentata,/ nessuna mano si annida fra le sue righe,/ solo il caso piove fra i suoi sentieri./ Riposa su scaffali d'orizzonte/ spazzati dai maestrali del futuro./ Le sue lettere non sostengono pergamene,/terracotta, carta né un mare di sabbia./ Chi lo scrive ignora quali parole portarono i falchi,/quelle che tracciò senza pensare, senza deciderlo./ In questa enciclopedia vale allo stesso modo/ l'opera del calligrafo e quella dell'illetterato.....". La vera poesia redime sempre, per fortuna.
un piccolo gioiello di poesia!
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