Negroland
di Margo Jefferson
Un memoir sorprendente, sincero, con cui l’autrice si propone, come fanno Claudia Rankine e Ta-Neishi Coates, di ampliare e ridefinire i contorni di una nuova coscienza afroamericana
Vincitore del National Book Critics Circle Award
«Lo stile di Jefferson salta senza preavviso dal saggio tradizionale al "lyric essay", dalla narrazione autobiografica in prima persona a quella postmoderna, dallo sfogo prosaico a note a pie' di pagina che sembrano pensieri a caldo; il tutto converge a creare un'opera senza cornice, che restituisce la consistenza magmatica della riflessione in divenire» – Fabio Deotto, La Lettura-Corriere della Sera
Negroland non è Harlem a New York, né Bronzeville a Chicago, è un club esclusivo privo di confini geografici, protetto da benessere e privilegi in un paese lacerato dai conflitti razziali. Negroland è «l’élite di colore», una classe nascosta tra le pieghe di una nazione che ha creato il mito della società senza classi. È un microcosmo regolato da un’etichetta minuziosa, ossessionato dalla perfezione, in cui si bada alle sfumature della pelle, alle forme dei nasi, a lozioni, parrucche e capelli. Figlia dell’alta borghesia nera, Margo Jefferson ha il lignaggio ideale per demolire una dopo l’altra le nostre convinzioni sulla «razza», trasformandola in un concetto mutevole in cui si intrecciano lingua, genere, censo, ingegno e ambizioni personali. E per riappropriarsi fin dal titolo di una parola diventata tabù – «Negro», con la maiuscola –, in cui vibrano ancora, sedimentati sotto strati di senso, i proclami per i diritti civili, le taglie sugli schiavi fuggiaschi, le invettive di James Baldwin. Il risultato è un «lessico famigliare» fatto di parole e immagini, e intessuto di illuminanti digressioni storiche: sui lasciti della segregazione, sul Black Power, ma anche su Lena Horne e Donyale Luna, feticci glamour di un’altra epoca, sugli schiavisti neri, sui film di Audrey Hepburn, sugli «esercizi di suicidio» delle ragazze di colore.)
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