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Il Rinascimento italiano ed europeo conosce un serrato dibattito volto al recupero della dimensione intellettuale, dei fondamenti tecnici e della "scienza" costruttiva che avevano assicurato al mondo antico il dominio del mare. Il racconto che lo stesso Leon Battista Alberti lascia delle osservazioni effettuate sui resti delle navi romane affondate nel lago di Nemi rivela chiaramente che l'attenzione entusiasta all'antichità classica, in quest'ambito, già alle sue origini non è affatto letteraria, evocativa, ma piuttosto progettuale e di esplorazione tecnica. Lo sviluppo più rilevante delle idee del Navis albertiano è dato dall'attività di Vettor Fausto all'interno dell'Arsenale di Venezia nel corso del secondo quarto del secolo XVI. Straordinaria figura del gruppo dei Filellenes veneziani, legato alla cerchia di Aldo Manuzio, professore di lettere greche presso la Scuola di San Marco, a partire dal recupero dalla tradizione bizantina dei Mechanicorum Libri pseudoaristotelici, Vettor Fausto lavora alla ricerca costruttiva sulle grandi galere applicando alla costruzione navale i principi elementari della meccanica, "contaminando" il sapere con il lavoro manuale ed entrando in conflitto con l'organizzazione delle corporazioni. Sostenuto dapprima dai massimi esponenti politici della Repubblica Marciana, è abbandonato poi nel condurre alle coerenti conseguenze l'idea di aprire nella Venezia del '500 un'età della "marina architectura". Tutto ciò nel quadro di diverse "renovationes" in reciproco conflitto negli orizzonti marittimi del Mediterraneo, tra l'aspirazione di Venezia a mostrarsi "altera Roma", quella di Carlo V a rivendicare l'eredità di Cesare e quella ancora di Solimano il Magnifico ad affermarsi successore di Costantino. Affrontata la questione dei rapporti tra "res aedificatoria" e "res navalis" da sottrarre all'operare della sola "fabrilis peritia", se ne seguono gli intrecci con la nascita della meccanica cinquecentesca e con la trattatistica [...]
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