Questo romanzo trasgressivo e ricchissimo ci restituisce il disagio della pace in agonia in Francia, nell'Europa, nel mondo alla vigilia della seconda guerra mondiale.
«Tutto è gratuito, questo giardino, questa città e io stesso. Quando capita di accorgersene, viene il voltastomaco e tutto comincia ad oscillare; ecco la Nausea.»
Dopo aver viaggiato a lungo, Antoine Roquentin si stabilisce a Bouville, in uno squallido albergo vicino alla stazione, per scrivere una tesi di dottorato in storia. La sera, si siede al tavolo di un bistrot ad ascoltare un disco, sempre lo stesso: «Some of These Days». La sua vita ormai non ha piú senso: il passato è abitato da Anny, mentre il presente è sempre piú sommerso da una sensazione dolce e orribile, insinuante, che ha nome Nausea. Un romanzo trasgressivo e ricchissimo, sempre attuale, che ci restituisce il disagio del mondo in agonia alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Il libro piú libero di Sartre, il piú disinteressato e il piú appassionato insieme.
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Romanzo strano: o si ama o si odia. Consigliato a chi disprezza il mondo, a chi crede di riscattarlo con le proprie riflessioni, a chi ama la riga di un libro molto più della riga di un giornale.
Purtroppo non ho apprezzato questo romanzo come altri dello stesso genere. Sartre non mi pare arrivare in questo suo romanzo alla profondità di un Dostoevskij oppure alla sensibilità di Camus.
Diario di un tormentoso cammino, intervallato da flashback, e pericolosamente in bilico tra il “dolce, dolcissimo, lentissimo” e l’“orrore, l’odio, il disgusto”. Modi diversi che affondano tutta l’insipidezza del corpo e del pensiero nell’esistenza. Antoine Roquentin si aggira per le vie di Bouville, osservando ogni cosa, ogni persona, con sguardo profondo e razionale, contando i giorni che lo separano dall’incontro con Anny, la donna che più di tutte sembra aver significato qualcosa nella sua vita. L’intima speranza di Antoine è che quell’incontro possa in qualche modo ridare un senso ad un errare senza più “alleati”, senza più esperienza (“diritto dei vecchi”), senza più un passato (“lusso da proprietari”). “Ciascuno ha la sua piccola fissazione personale che gli impedisce di accorgersi che esiste, non ce n’è uno che non si creda indispensabile a qualcuno o a qualche cosa.” Il corpo di Antoine è confinato in un luogo in cui tutto è “di troppo”, persino oltre la stessa esistenza: cadavere, sangue, carne corrosa e ossa ripulite sono di troppo sia per la terra che per l’eternità. Esistenza tra esistenze che si rassomigliano tutte. Alberi al vento, condannati dalle radici ad esistere, mancare e ricominciare. Troppo deboli per morire. “È vero che non sanno di esistere, loro. Ho voglia d’andarmene, d’andarmene in qualche posto dove sia veramente al ‘mio posto’, dove m’ingrani… Ma il mio posto non è in nessun luogo; io sono di troppo.” Non sarà un ritorno di fiamma con Anny a rivelarsi salvifico. Negli ultimi istanti a Bouville, prima del suo ritorno nella capitale Parigina, una voce proveniente da un fonografo gli indicherà una via che da ultimo fermi e giustifichi un’esistenza del tutto sfuggevole e senza memoria (un tram che passando di sera, “non si porta via sui vetri il riflesso delle insegne al neon; s’accende per un istante e s’allontana coi vetri neri.”).
Capolavoro