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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 1992
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2009-5-30 grazia.mento@fastwebnet.it Leggendo, al terzo capoverso della pagina 201, la descrizione della "lingua" di ricotta che scivola nel piatto dalla "cavagna", sono tornata indietro di 60 anni e ho (ri)gustato quel sapore "unico" che non si dimentica mai e che l'autore mi ha fatto riassaporare. Avevo 9 anni e abitavo a Floridia un paese in provincia di Siracusa.Un libro che ho letto con grande partecipazione. Grazie!
Il mio giuduzio sul libro è moderatamente positivo. Spinta da altri che l'avevano letto e trovato a buoni livelli letterari, io, che sono siciliana ma non amo leggere di sicilianità (nulla e nessuno vale Verga), ho voluto provare. Il libro è blando, non trascina, mi è sembrato che non avesse "cuore": manca dell'occhio acuto che solo un siciliano vero può avere sulla sua terra e manca del sentimento della sicilianità. Mi è sembrato una "telenovela" sulla Sicilia e mi è venuto spontaneo chiedermi se la vera mentalità mafiosa, laddove l'autore parla di mafia, avrebbe lasciato vivo l'eroe della storia, seppur padrone. Ho sorriso, perchè negarlo?, della semplicistica descrizione che l'autore ci propina sugli atti mafiosi (più simili a ruberie di galline che altro): una mafia che cala il capo, che ha paura...Anche le figure femminili non mi hanno convinta: l'una piena del perbenismo di maniera tipico della società borghese di qualsiasi paese e tempo storico(in qualche modo più convincente) e l'altra "mavara", cioè maga, che di notte s'incontra con l'eroe del libro, come una strega che si reca al Sabba. Questa figura femminile non mi è piaciuta, inutile negarlo: la giuduco "sopra le righe". Ma l'autore conosce una donna siciliana?Comunque,nel complesso lo considero un libro mediocre.
Con un distico sulla quarta di copertina l'autore esprime l'auspicio che, dopo aver letto il libro, chi non ama la Sicilia cominci ad amarla e, al contrario, chi la ama si raffreni un po'. Suggestivo proposito, che per quel che mi riguarda, nel merito della seconda parte si è realizzato effettivamente. Da sempre affascinato di quella Sicilia povera e frugale che quando nacqui s'apprestava a morire ("quando - la frase l'ho tratta dal libro e mi è piaciuta moltissimo - la miseria materiale stava per chiudere il suo regno millennario per lasciare il posto alla miseria morale"), di frequente mi capita di sollecitare mio zio Liborio (il mio zio più vecchio, l'ultimo che m'è rimasto) a parlarmene, a confrontare la miseria morale che c'è oggi con gli austeri costumi d'una volta, per poter levare al cielo alti lai di quanto sia sconcia e schifosa questa. Al che il povero vecchio (ah, quanto brutta e crudele è la vecchiaia; al tempo dei fatti narrati dal libro lui aveva trent'anni), che dal magro frutto di quella terra fu nutrito e con l'aiuto di Dio sopra di essa crebbe, dopo essere stato per un certo tempo al gioco, regolarmente ad un certo punto, mi interrompe e mi fa': "Ah, caro nipote, è bello e comodo fare il laudator temporis acti quando si hanno la pancia piena e le spalle al coperto! Sì, la verecondia, il rispetto, la rassegnazione, il timore di Dio, le donne che non uscivano di casa e tutto quello che vuoi son virtù teologali, e non posso certo essere io a non rimpiangerle. Però io che quei tempi li ho vissuti realmente non posso dimenticare la fame, la miseria, la sporcizia, l'umiliazione dei poveri che erano trattati come le bestie e non avevano difesa dall'arbitrio della sorte e dalla prepotenza dei ricchi, il fatto che a cinquant'anni gli uomini e le donne, distrutti dalla fatica, erano già vecchi e che dei bambini nati i due terzi non superavano il secondo anno di età. Come la tua sorellina Lidduzza che morì perché il dottore I. le aveva fatto un'iniezione con un ago infetto". Così parla ogni volta il ca
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