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Myricae è probabilmente la raccolta poetica in cui meglio si esprime il genio creativo di Giovanni Pascoli, è un'opera di rilevante valore, anzi molto più esattamente è il capolavoro di questo genio romagnolo, e costituisce l'ultimo esempio di poesia lirica classica, essendo anche al contempo un omaggio a Publio Virgilio Marone. Infatti il titolo deriva da un verso della quarta Bucolica del grande poeta latino: Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae (Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici). E non poteva esserci miglior titolo, vista l'impronta della silloge, in cui è costante un dialogo introspettivo fra l'io dell'autore e il mondo di piccole cose che lo circondano. L'opera, al di là della sua valenza intrinseca, che la qualifica appunto come capolavoro, presenta una varietà di argomenti e un piacere di lettura ben difficilmente riscontrabile in analoghi lavori di autori pur di grande lignaggio. Se i ricordi sono immancabilmente presenti, e al riguardo cito la celeberrima Rio Salto in un susseguirsi di suoni e di immagini di rara efficacia, se pur assumono valenza di rilievo i pensieri, come in Il passato, risplendono i versi di una mistica natura, un paesaggio bucolico, i lavori dei campi, la mansuetudine di un bove, che simboleggia la forza di una grande umiltà. Ricordi, natura, riflessioni sono i percorsi di una vita dell'uomo, purtroppo nato con una durata a tempo, ignota, ma pur sempre limitata, e non è quindi un caso che il senso della morte sia sempre presente, ben espresso da Il giorno dei morti. È grande Pascoli e grandi sono le sue poesie, ancor oggi attuali, perché la loro contemporaneità sta nell'immenso mistero della vita e della morte, sta in una natura che a volte ci sembra dolce e amica, altre invece aspra e feroce, sta nel nostro essere infinitamente piccoli di fronte alla immensità del creato. La lettura, quindi, è raccomandata senza il minimo dubbio.
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