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È già da qualche anno che i media musicali (e non) la seguono con diligente puntualità, per questo si è quasi sorpresi quando ci si accorge che questo disco omonimo – che segue un filotto di mixtape ed Ep – è il debutto ufficiale della rapper transgender. Rischiavamo, però, di non ascoltarlo: un anno fa, la performer californiana aveva dichiarato di volersi ritirare dall’industria dell’intrattenimento e seguire la vocazione per il giornalismo d’inchiesta che l’avrebbe condotta a studiare sul campo la condizione omosessuale in diverse zone del mondo; a partire dalla comunità Meti, “terzo sesso” nepalese. Sarebbe stato un peccato: Mykki è una mutaforma che tiene insieme la compostezza orchestrale di High School Never Ends con le minacce trap techno alla Danny Brown dell’altro singolo The Plug Won’t (“Le droghe non mi amano quanto te / il club non mi ama quanto te / la vita non mi tratta bene / sono così confusa”) passando per l’horror di Fendi Band e la clowneria psichedelica di For the Cunts. Dove manca qualcosa in termini di acrobazie verbali e metriche, Mykki recupera attraverso l’enorme espressività della voce baritonale che si sbizzarrisce sulle produzioni iper-levigate e fumettose di Jeremiah Meece e Woodkid.
Con tanti saluti a coloro che pensano che l’hip hop debba limitarsi a osannare lo status quo e i suoi gadget o a riscrivere eternamente – aggiornandone la forma – tic di decenni fa, ricordiamo che è per sua natura una forma evolutiva e sfidante. Mykki Blanco non segue la lettera, ma è (a suo modo) fedele all’anima della scintilla aliena che si materializzò nel South Bronx: un formato futuristico per l’autobiografia di una comunità marginalizzata attraverso la celebrazione euforica, l’insolenza e il racconto delle catene. Il rap nel 2016 passa necessariamente anche di qui. Voto 4/5
Recensione di Francesco Tenaglia
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