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Il libro di Scianca costituisce un unicum nella sterminata produzione saggistica su Mussolini e il fascismo. Infatti è la prima volta che un Autore dedica il suo lavoro alla formazione culturale, e nello specifico filosofica, del Duce. Partendo dalla letture giovanili di Marx del giovane agitatore romagnolo, si prosegue fino alla fondamentale riflessione su Nietzsche che corresse l’impostazione materialistica di Mussolini e farlo approdare a un “socialismo aristocratico”. Il saggio è documentatissimo ed è frutto di sette anni di ricerche da cui si può comprendere come il Duce leggesse letteralmente di tutto e fosse informato sulle correnti artistiche, culturali e scientifiche del suo tempo come nel caso della psicanalisi che gli fu fatta conoscere da Evola prima che questi entrasse in conflitto con il pensiero freudiano. Platone, Stirner, Sorel, Gentile, Oriani, Mazzini, Schmitt, Rosenberg, Spengler e Heidegger letti in originale, erano nomi ben noti al “figlio del fabbro”, maestro elementare autodidatta e giornalista di prim’ordine che lasciò un’opera omnia in quarantaquattro volumi. Quello che si proponeva Mussolini attraverso il fascismo, fenomeno preso a modello da molti movimenti europei e sudamericani, non era solo la restituzione all’Italia della sua grandezza imperiale e romana anche attraverso una rivalutazione del paganesimo, ma era rifondare il carattere del popolo italiano ontologicamente tramite una rivoluzione biologica e spirituale che avrebbe portato all’uomo nuovo. Non solo la ricerca di una più alta giustizia sociale da attuarsi oltre le logore categorie del marxismo e del liberalismo, ma una rifondazione della “razza” italiana qui da intendersi nel senso della lotta alle malattie ereditarie e invalidanti, perciò eugenetica, ma anche la campagna demografica che insieme alle leggi razziali avrebbero dovuto dare un “cazzotto nello stomaco” al nemico principale del Regime, la borghesia, da concepirsi non solo come categoria sociale ma modo di vivere.
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