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Un libro con spunti interessanti, ma secondo me l'autore non è troppo affidabile nel senso che è difficile capire cosa scrivesse perché veramente convinto (a torto o a ragione) e cosa invece come invenzione personale.
Questo libro lo si potrebbe leggere in metropolitana in due giorni se non avesse il difetto che ad ogni frase l'autore ti fa riflettere, suo malgrado, sul fatto che quello che dice è attuale oggi, dopo 70 anni. Sostituisci il nome del duce con quello dell'attuale capo del governo e scopri 1.000 similitudini. Quando l'ho letto volevo non crederci: credevo di leggere appunti di riflessione di un cronista di oggi. Un libro duro ma che potrebbe far riflettere prima che sia troppo tardi.
Muss ha parti biografiche, autobiografiche, saggistiche, narrative. Ha avuto aggiunte e correzioni: presenta pronostici così esatti che non si può non vederne la spiegazione che in un successivo, acconcio rimaneggiamento. Di genio in Malaparte ce n’è a iosa. E, volendo cercare pepite non solo nelle frasi, ma anche nelle singole parole, si trova un’abilità retorica straordinaria. Dopo averci deliziato con la sua aggettivazione splendida, Malaparte in dirittura d’arrivo ci obbliga a definirla perfetta, perché in due righe ci dà esempi di lussureggiante allitterazione: è un duce “grasso, bolso, tronfio”, quello che l’ha sbattuto in una cella “fetida, umida, gelida”. Italiano fra gli italiani, Malaparte. Di quegli italiani che sanno essere prima fascisti e poi antifascisti, che diventano comunisti per poi convertirsi sul letto di morte.
Recensioni
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recensioni di Bongiovanni, B. L'Indice del 2000, n. 02
Un po' con i guelfi, un po' con con i ghibellini. Un po' con i Capuleti, un po' con i Montecchi. Nei momenti migliori, un buon scrittore (e un eccellente giornalista) europeo. Nei momenti peggiori, grazie al gusto per il beffardo e per il grottesco (come nell'apologo antimussoliniano del '43, Il grande imbecille), un rielaboratore "realistico" di atmosfere toscaneggianti alla Sem Benelli o alla Gianni Schicchi. La grande storia che sta alle sue spalle, farcita quasi sempre di elementi horror e splatter, qualche volta è una vera e terribile tragedia mondiale. Qualche volta, invece, a somiglianza delle risse stracittadine e strapaesane, è uno scontro a sassate tra contradaioli. Si sta naturalmente parlando di Curzio Malaparte, "Curtino" per la madre, quella stessa madre che aveva inventato per Mussolini l'affettuoso nomignolo "Muss". E proprio Muss è il titolo di un testo solo parzialmente noto, e dal taglio incerto (un po' riflessione politica, un po' antropologia degli italiani, un po' autobiografia), che ora viene opportunamente riproposto, in forma finalmente integrale, ai lettori. Iniziato nel 1931, al tempo del prolungato soggiorno parigino succeduto al licenziamento dalla direzione della "Stampa", Muss viene interrotto nel 1933, l'anno del ritorno in Italia e della non lunga prigionia, cui segue il confino a Lipari. Viene ripreso nel dopoguerra. Sordidamente splendide, di questo periodo, e anche minuziosamente fisiognomiche, sono le pagine sul pedinamento dell'"assassino di Mussolini". Pur essendovi passi anche del 1953-55 - Malaparte muore cinquantanovenne nel 1957 - Muss non viene però concluso.
Gli spunti di maggior interesse riguardano le parti scritte nel 1931-33. Di padre tedesco, Malaparte è spaventato da Hitler. Il nazismo "rivela" tuttavia l'essenza del fascismo. L'odiosamato Muss appare ora infatti come un "cattivo maestro", e cioè come un veicolo italiano, dunque "cattolico", che, per mezzo dell'imbianchino austriaco, sta traghettando la Controriforma oscurantistica nel paese della libertà di coscienza. Hitler, insomma, sta per affossare la civiltà luterana. Nella puntuale prefazione Perfetti ha buon gioco a dimostrare come Malaparte rovesci la sanguigna apologia del "barbarico" cattolicesimo popolaresco e antimoderno - don Camillo arriva di qui? - effettuata al tempo non lontano della fronda strapaesana. Mill e Marx sono comunque nel 1931-33 da considerarsi eredi di Lutero, mentre Mussolini e Hitler discendono da Ignazio di Loyola e fanno risalire a galla il "torbido fondo di fanatismo" delle masse cattoliche. Quel che però sfavilla è il ritratto di Mussolini come specchio della natura profonda del popolo italiano. È questa la linea Prezzolini-Longanesi-Montanelli, la linea del brillante giornalismo che viviseziona il carattere degli italiani in modo denigratorio e insieme acrobaticamente apologetico. Solo l'antitaliano è infatti un arcitaliano. Ed è del resto grazie a queste pagine che si può indirettamente comprendere come è potuto accadere che la più importante storia dell'Italia fascista di cui disponiamo - quella di De Felice - sia una monumentale biografia del Duce. Del nostro fratello in camicia nera.
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