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“Lʼopera infine venne rappresentata e, devo dirlo? Il “Don Giovanni” non piacque!” (Da Ponte). Tutti, escluso Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart, così, in latino, il nome di battesimo per esteso di Amadeus Mozart, sentivano che qualcosa mancava. Si fecero delle opportune aggiunte. Alcune arie furono spostaste e scambiate con altre, si creò un nuovo allestimento; nonostante ciò il “Don Giovanni” non piacque. E cosa disse di ciò lʼimperatore, il Kaiser? “Questʼopera è divina (göttlich), persino, se possibile, più bella del “Figaro”; ma non è pane per i denti dei viennesi”. Il motto dell’imperatore fu riferito da Lorenzo da Ponte a Mozart, il quale ribatté calmo: “Diamogli il tempo di masticare a dovere”. Ciò avvenne alla prima viennese del “Don Giovanni”. Mentre per quanto riguarda il “Figaro”, Mozart in una lettera del 15 gennaio 1787 da Praga scrive: “Stetti a guardare con gran spasso come tutta questa gente, intimamente così felice, saltellava qua e là sulla musica del mio Figaro, trasformata in chiassose danze popolari tedesche; poiché qui non si parla che di Figaro, non si recita, non si suona, non si canta, né si fischietta altro che il Figaro, non si frequenta altra opera che il Figaro – Figaro e sempre Figaro; davvero un grande onore per me!”. Insomma, a differenza del “Don Giovanni”, “Le nozze di Figaro” furono accolte dai viennesi a braccia aperte e con un caldo sentimento di apprezzamento. “Così fan tutte”, l’ultimo libretto d’opera compreso nel trittico, ispirò invece a Stendhal questo pensiero acutamente ironico: “Credo che Mozart nella sua vita sia stato felice solo in due occasioni: nel “Don Giovanni”, quando Leporello invitò la statua del commendatore a mangiare, e in “Così fan tutte”. I brutti diavoli evocati dal commendatore, ritornati sotto forma di statua marmorea, finiscono così per dissolversi davanti alle grasse risate del Don Giovanni, provocate dall'ingenuità burlona e dall'estro del suo scanzonato servitore Leporello.
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