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recensione di Ruffini, F., L'Indice 1998, n. 5
La posta in gioco con questo atteso volume delle "Opere scelte "di Sergej M. Ejzensÿtejn era molto alta. Senza giri di parole si deve dire che la partita è stata perduta.
Si tratta di un volume appositamente allestito per l'edizione italiana, comprendente scritti inediti anche in russo. La raccolta è preceduta da una introduzione di Alberto Cioni, ed è conclusa dal saggio "Il teatro del corpo estatico "di Ornella Calvarese, che ha recuperato e tradotto molti dei testi pubblicati.
La posta in gioco era legata proprio al fatto che gli scritti raccolti sono per la prima volta - nella serie marsiliana delle "Opere scelte" - tutti di ambito non cinematografico; ed era quella di sottrarre finalmente il pensiero di Ejzensÿtejn al monopolio del cinema e di restituirlo al suo vero dominio: il "processo creativo "nella sua generalità. I campi di volta in volta attraversati per metterne in luce le leggi (o le ricorrenze) sono diversi. Ci sono il cinema, la pittura, la letteratura, il teatro e altro ancora; ma il processo creativo in quanto tale è indipendente dai territori ai quali si applica. Tra questi, il teatro ha un'importanza particolare in quanto è, insieme al cinema, quello in cui Ejzensÿtejn si esercitò programmaticamente come "creatore", oltre che come esploratore del processo creativo. Tra il 1921 e il 1924 Ejzensÿtejn fece teatro professionalmente e, prima di passare al cinema, produsse uno degli spettacoli - "Anche il più saggio si sbaglia "(1923) - che, col suo manifesto programmatico "Il montaggio delle attrazioni", costituisce uno dei momenti più significativi per la "scienza dello spettacolo" del Novecento.
Per chiarire che il pensiero di Ejzensÿtejn non è di esclusiva pertinenza del cinema, c'era una via più difficile e una via meno difficile". "La via più difficile era affermare che gli scritti di Ejzensÿtejn non hanno come oggetto il teatro né il cinema, se pure si servono dell'uno o dell'altro come campo di indagine. La via meno difficile era di offrire questi scritti di ambito teatrale come integrazione e null'altro di più agli scritti di Ejzensÿtejn non similmente etichettati.
Maggiore o minore, i responsabili del volume hanno invece evitato il difficile, e con esso la scommessa del libro. Sottotitolando "Scritti sul teatro", oltre a eludere ancora una volta il vero oggetto del pensiero di Ejzensÿtejn, hanno lasciato intendere che se non tutti almeno i più importanti "scritti sul teatro" di Ejzensÿtejn si trovino in questo volume. Il che non è vero.
E arriviamo così al merito del volume, cioè al suo contenuto, alla sua organizzazione e ai testi di corredo critico. Il contenuto. Il più importante e cospicuo tra i materiali offerti, il saggio su "Il movimento espressivo," che non a caso dà il titolo al volume, non è inedito in italiano (era apparso in "Stilb", 1981, n. 2). Quanto al resto, insieme a reperti di indubbio interesse ce ne sono altri che hanno pochi pregi oltre quello, discutibile, di essere inediti. Come organizzare questo eterogeneo insieme di "scritti sul teatro"? Il criterio adottato - pare - è stato quello di raccogliere solo i testi non già pubblicati in altri volumi della serie marsiliana delle "Opere scelte". Così, per esemplificare: non troviamo il famoso "Montaggio delle attrazioni", perché già edito nel volume il montaggio; ma troviamo "I due crani di Alessandro il Macedone", anch'esso già pubblicato in italiano, ma non dalle edizioni Marsilio (si trova in "Ejzensÿtejn Vertov. Teoria del cinema rivoluzionario", a cura di Paolo Bertetto, Feltrinelli, 1975).
Un'appendice con l'elenco degli "scritti sul teatro" di Ejzensÿtejn, comunque collocati in altri volumi della serie marsiliana e/o editi altrove, sarebbe allora stata di grande utilità al lettore. E soprattutto al libro. Riferendolo a un quadro complessivo, avrebbe reso, se non condivisibile, almeno comprensibile e non fuorviante la sua composizione.
Spiace rilevarlo, ma credo che al fondo dell'intera operazione ci sia uno scarso rispetto, non voglio dire premeditato, per la cultura del teatro. Tant'è vero che i testi di corredo critico - vengo così all'ultimo punto - esibiscono una completa ignoranza dei più recenti contributi di provenienza teatrale sulla "scienza dello spettacolo" di Ejzensÿtejn: un tema liquidato, del resto, nella nota editoriale come "tuttora assai poco studiato".
Qui il discorso dovrebbe diventare specialistico, e inoltre ripartire con cura tra i due scritti omissioni e disinvolture. Dato che lo spazio non lo consente, mi limito ad accennare a un punto che viene evidenziato in entrambi i contributi, e che logicamente era già stato preso in esame nella riflessione di provenienza teatrale: l'"efficacia". Si tratta di una nozione fondamentale nel pensiero di Ejzensÿtejn. Lo spettacolo non deve rappresentare passioni, deve suscitare passioni. Molto opportunamente il saggio di Cioni e quello della Calvarese lo sottolineano, ma senza parlare del vero problema che si nasconde dietro quella generica dichiarazione di intenti.
Il vero problema è il calcolo dell'efficacia, in tutt'e due le direzioni: in direzione dello spettatore a cui l'efficacia si rivolge, e in direzione del testo drammatico in rapporto al quale l'efficacia dello spettacolo viene elaborata. Senza questo doppio calcolo - che dev'essere scientifico, negli intendimenti di Ejzensÿtejn - l'efficacia verso lo spettatore si degrada a indiscriminata aggressione sensoriale, e dall'altra parte il legame col testo si perde.
Il teatro, insomma, finisce nel circo. A lamentarlo, fu lo stesso Ejzensÿtejn, decidendo proprio per questo di passare al cinema. Al teatro, oltre le sue creazioni, lasciò indicazioni precise e consistenti proprio su come operare quel "calcolo scientifico", e a questo proposito basti pensare a quanto scritto nel volume "La regía". Solo, non le sviluppò compiutamente, perché non aveva senso perfezionare l'aratro (il teatro) quando era già stato inventato il trattore (il cinema). Lo scrisse con queste parole in "I due crani di Alessandro il Macedone", che ora possiamo leggere in duplice edizione italiana; ma non ne parlano - per ciò che la "boutade "implica - né l'introduzione né la postfazione di quest'occasione mancata che è "Il movimento espressivo. Scritti sul teatro" di Sergej Michailovic Ejzensÿtejn.
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