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La presente opera fu stampata in prima edizione a Mantova, nel 1603, poi a Milano, nel 1605 col titolo definitivo. Non ebbe il testo grande fortuna di posterità: dimenticato, sfuggito, forse ai grandi autori del XVII e del XVIII secolo, ignorato più in là dal Ferguson, esso fu riscoperto da Julius Evola che lo pubblicò in un italiano modernizzato nel 1932 presso l'editore Laterza di Bari. Nel 1963 Elémire Zolla inserì due significativi passi del Mondo Magico nella sua antologia I Mistici. Infine, prima della presente ristampa dell'edizione milanese del 1605, una ristampa anastatica dell'opera fu proposta, corredata da un attento studio storico sull'autore, in edizione amatoriale, e in tiratura limitatissima nel 1971 dalla casa editrice Arché. La presente può quindi considerarsi, a buona ragione, la prima edizione moderna di un testo molto citato, ma conosciuto meno. L'unica variante apportata all'originale è stata una pura omologazione della grafia secentesca a quella contemporanea, senza modernizzare o parafrasare il testo, come era invece avvenuto per l'edizione del 1932.
Il mondo magico si presenta come apparirà chiaro al lettore informato, non soltanto come strumento erudito e singolarmente completo di una visione del mondo alchimistica, ma anche come singolarissimo esempio di una prosa mistico-alchimica italiana dell'epoca. Splendido centone manieristico, esso segna, da un punto di vista formale, il tramontare di un certo alessandrinismo ermetico, quello di Agrippa di Nettesheim, per intenderci, che conduce al trionfo dell'esoterismo lessicale, meglio al trionfo di un modello secentesco d'ermeneutica lessicale. Se, come ricorda Mallarmé in una sua lettera, tutto il segreto della lirica sta nel costruire relazioni nascoste, formulando però soltanto suggestioni e non esplicite e puntigliose nomenclature, Cesare della Riviera sembra attuare tale dettato, nominando sì, con il puntiglio della spiegazione secentista, il procedere alchimico, ma organizzandolo attraverso vari possibili moduli lessicali con ingegnosità anfibula; sciogliendo, nel suo discorso, una serie di logogrifi bellamente posti ed inventati e supponendoli derivati, via via, con incantevole spudoratezza, da antiche retoriche e da addolciti Notarikon. Scontando il volume puramente mnemonico e artificioso degli acrostici di della Riviera, non si può non rimanere colpiti da quel suo procedere sacrale con cui le parole e quindi le operazioni tradizionali vengono decifrate.Non soltanto in ciò, naturalmente, la singolarità dell’opera. In essa è già viva, ad esempio, la spiegazione del procedimento alchimistico attraverso il mito (le fatiche d’Ercole, il mito di Latona, l’erba Moli) che verrà collaudata da Maier, è resa canone da Pernety, ma resa con un gusto della lingua didascalicamente felice, che ne fa per il lettore italiano informazione non uggiosa. Infine gli affollati riferimenti agli autori più amati da della Riviera permettono ai più solerti la ricostruzione della genesi spirituale di questo testo, in cui il delectare, è, per chi voglia, invito a “sperimentare con amore immaginativo”.
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