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Nei versi di Camillo Pennati l'esperienza contemplativa si pone quale momento centrale e culminante dell'esistere. Così come la contemplazione non è occasione di esotiche o ultra-tecnologiche uscite dal mondo, essa non va neppure confusa con il semplice guardare, in quanto richiede un occhio addestrato a descrivere, anziché eventi e forme esteriori, la physis che vibra nei fenomeni, l'operare essenziale della natura. Questa azione è insieme visione e autorispecchiamento: "la sensoriale / conoscenza intrinsecata dell'esistere", scrive Pennati. Il modulato silenzio costituisce solo un aspetto dell'intima struttura ciclica della rappresentazione, irriducibile a categorie antropomorfiche. In realtà, la chiave che permette l'avvicinamento alla difficile ricerca di Pennati non è tanto quella rappresentata dall'immersione nel silenzio, che pure abbraccia ogni cosa ("tutto / è insito e unicamente situato nel comprensivo / silenzio a percepirsi percepito come di sé"), quanto quella dell'osmosi. Che tale sia la via da seguire per intuire qualcosa del nucleo pulsante dell'universo e della poesia stessa, Pennati lo dichiara esplicitamente, come in un manifesto: "compenetrare per osmosi il dove il quando / il come". La verità del mondo coincide con un inesauribile flusso osmotico, con il fondersi perpetuo di enti e oggetti apparentemente separati, quando non in conflitto: compito del poeta è ripercorrere e continuamente ridefinire questo "reciprocarsi coinvolgente di sensibile / e scambievole effusione", "unica esperienza intersecante", "senso del coesistere entro il percepimento stesso dell'esistere". Ne deriva un'impressione di divina monotonia analoga all'effetto generato dalle manifestazioni più vitali dell'arte popolare e tradizionale. Giampiero Marano
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