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Anno edizione: 2019
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Vi è mai capitato di avere delle aspettative altissime per un libro e trovarci l'esatto contrario? A me è successo con "La misura imperfetta del tempo" di Monica Coppola, libro che mi è stato inviato da Las Vegas Edizioni che ringrazio molto. Ho letto questo libro con delle grandi aspettative soprattutto per i personaggi descritti nella trama. Le protagoniste sono tre donne della stessa famiglia: Mia di ventidue anni, sua mamma Lara e sua nonna Zita. Sono tre donne di tre generazioni diverse e condividono uno stesso dolore che li accomuna, ovvero la morte del marito di Zita, ovvero il nonno di Mia. Ognuna di loro ha reagito diversamente a questo dolore e la scrittrice racconta le loro vite quotidiane. Il romanzo è ricco di dialoghi e il linguaggio usato è molto colloquiale e informale con delle battute dialettali. E' stata una piacevole lettura ma mi aspettavo qualcosa in più nella narrazione. Dopo aver letto la trama e aver conosciuto i personaggi, mi aspettavo un romanzo familiare psicologico centrato sulla crescita caratteriale e sul cambiamento dei personaggi. Purtroppo le mie aspettative non sono state soddisfatte al massimo dato che il libro ha veramente troppi dialoghi durante le continue discussioni tra le protagoniste e sembra sempre di tornare al punto di partenza. Il messaggio della storia e il motivo del titolo sono molto chiari: solo il tempo può curare le nostre ferite e le donne continuano a vivere nel passato rinfacciandosi a vicenda gli errori commessi dalle altre. Lo stile del romanzo è molto informale e per questo anche molto scorrevole e, tranne il finale, purtroppo, non mi ha trasmesso molte emozioni. Se a voi piacciono i romanzi familiari, questo libro fa decisamente per voi che potreste apprezzare di più. A me non ha preso e, per adesso, non penso di continuare a leggere questo tipo di romanzi.
Recensioni
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Zita, Lara e Mia: tre donne, ognuna con il suo bagaglio di amore, desideri e sacrifici. Tre generazioni diverse alle prese con un unico grande dolore che, per l’ennesima volta, ognuna affronta in modo tutto suo, differente da quello delle altre: il loro cammino, mantenuto su un’unica strada, seppure talvolta con fatica, prende direzioni diverse e, per la prima volta in maniera tangibile ed esplicita, le allontana.
Lo sfondo delle loro vicende è la periferia torinese, con qualche incursione nella movida del centro: una periferia così viva che sembra emergere dalle pagine e venirci incontro, con la sua routine e il suo disagio, ma anche con quel calore e quella pacata sicurezza che tutte le piccole comunità immancabilmente infondono. Un elemento di rarità, però, si inserisce all’improvviso in questa normalità: Zita esce dagli schemi e non si limita alla sopportazione, come ci aspetteremmo dalla donna che ci si presenta all’inizio, madre di famiglia, nonna che ha saputo diventare nuovamente mamma al posto di chi non era pronta ad esserlo. Zita ci stupisce e agisce; non “sopravvive”, non si adegua, ma vive; non si adagia, ma reagisce, proprio lei, che sembra la più conservatrice; proprio lei, che per età ci aspetteremmo più inserita nel grigiore periferico, spicca tra tutti, molto più brillante e colorata dell’inquieta Lara, circondata dalle luci dei locali, inghiottita dalla sua mondanità milanese, ridotta al solo pallido riflesso dei colori dei suoi abiti eleganti. Più viva di Mia, che rifugge la vita sociale per ritirarsi nel suo mondo interiore e chiudersi nel suo appartamento invece di respirare a pieni polmoni e buttarsi a capofitto nel mondo con la forza della sua giovane età.
Zita ci insegna che si può essere centro e punto fermo anche muovendosi e, soprattutto, che non è mai troppo tardi per dare spazio alle emozioni e correggere gli errori e le imperfezioni: le parole mai dette possono rivelarsi la misura perfetta di quel tempo a cui il silenzio ha tolto colore e speranza.
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